Cinque poesie sulla fragilità da proporre alla “generazione Xanax”

Il settimanale “Panorama” sottolinea come gli attuali adolescenti siano in buona parte alle prese con problematiche come ansia, depressione, disturbi alimentari, arrivando a definire questa generazione come “generazione Xanax”, dal nome di uno dei più famosi e utilizzati farmaci ansiolitici. Quello che però appare come esito ha in realtà delle cause cui forse andrebbe prestata maggiore attenzione. Perché una generazione che bolla un’ ulteriore generazione semplicemente in maniera causale, esperienziale, senza chiedersi le motivazioni di un consumo e di un comportamento, ma soprattutto senza prendersi le responsabilità nei confronti della società complessiva, non fa altro che amplificare le colpe che già su di lei, e su di noi, gravano.

L’ansia contemporanea non è semplicemente il risultato di un periodo di restrizioni e limitazioni, come può essere accaduto durante il Covid, che certamente avrà acutizzato le tendenze ma non si può definire come l’unico colpevole: è da più di vent’anni che il consumo di ansiolitici in Italia e in qualsiasi altro paese occidentale è diventato consuetudine. Quello che forse più sorprende è che possa essere diventato consumo abituale da parte di fasce d’età sempre minori, al limite della preadolescenza.

Il consenso come chiave del successo

I modelli che oggi vengono imposti a livello di società portano inevitabilmente all’ansia, innanzitutto la necessità di consenso come valvola di successo, non più esclusivamente nel micro-mondo di vita ma in tutta la galassia dei social e di ogni altra forma virtuale di comunicazione. E’ troppo spesso il numero dei like o delle condivisioni a decidere il consenso o la riuscita di un’esistenza, consenso che si ottiene con impatti sempre più legati all’immagine e sempre meno all’essenza della persona. Una spersonalizzazione come questa dove è possibile filtrare (quindi omettere o mascherare) ogni forma di imperfezione porta a dei livelli di impossibilità di prestazione che non possono che in buona parte delle persone portare disordine. Il successo si misura in consenso, in fattore economico o ancora meglio in possibilità di spendere, di possedere, ma i beni di consumo sono, anche solo rispetto a pochi anni fa, beni che velocemente perdono valore e ancora una volta identità. Lo stesso si potrebbe dire del fisico che può cambiare, modificare, migliorare con le palestre, ma che ancora una volta è destinato a mutare.

Accettarsi e non essere soli nel terreno dell’accettazione è forse una delle maggiori sfide contemporanee, l’imperfezione è il più difficile dei farmaci da somministrarsi in questo contesto. Per farlo è necessario uscire da un’ottica nel quale l’interlocutore cardine è lo schermo di un cellulare, un modo che esiste ma che al tempo stesso è irreale. Per accettarsi bisogna prendersi il tempo di guardare l’intorno, sostenersi a vicenda, non solo per conoscere ma soprattutto per approfondire noi stessi. Pensare che la chimica, la farmaceutica, possano sostituirsi a quanto di più elaborato sta nella nostra essenza è qualcosa di illusorio a qualsiasi età e soprattutto quando ancora giovani cerchiamo di definirci, di caratterizzarci, di non omologarci come lo sfrenato consumismo neoliberista al contrario vorrebbe.

“Prendi la penna”

La fragilità ha origini antiche e tanti scrittori e poeti l’hanno raccontata. Amelia Rosselli, tra i maggiori interpreti del Novecento, ha conosciuto le nevrosi e ha dovuto lottare fin dai 40 anni con i primi segni di una terribile malattia neurodegenerativa quale il Parkinson. Serie Ospedaliera, scritto tra il 1963 e il 1965 è forse uno dei più forti e totali testamenti della Poesia del Secondo Novecento, come in questo testo che fa parte di “5 poesie per una poetica” e che tratteggia quello che oggi in molti stiamo vivendo:

 

perché non ti posso dire che sono brava. Credi a me, v’è,

per esempio, per critica delle cose, un segno, nelle mie labbra

che tu sei fermo.

 

Prendi la penna e impara a guardare, rischia la tosse nel

vestibolario, quasi, piccolo cerchio anche, dozzine

ma che dico, centinaia di sguardi puliti alle mie spalle,

la notte invece un rimare senza spalle.

 

Amelia Rosselli, Le poesie, Garzanti 2007.