Cile, per le presidenziali
un sindaco comunista
contro un “Chicago Boy”
A novembre verrà eletto il nuovo presidente del Cile, il primo con la nuova Costituzione. I sondaggi danno un testa a testa tra un sindaco comunista e un altro che governa il comune più ricco del paese.

“Lo scenario è instabile. Bisognerà guardare ai risultati delle elezioni costituenti del prossimo 11 aprile per capire come andranno le presidenziali” ci spiega Javiera Arce, politologa, docente presso l’Universidad di Valparaiso e componente della Red de Politólogas. Da un anno, i due presidenziabili sono testa a testa, con Jadue in ascesa (la curva rossa del grafico qui sotto) e Lavin, rappresentato dalla curva blu, in discesa.
Dal 2012, Daniel Jadue, del Partito comunista cileno, è sindaco di Recoleta, uno dei comuni dell’area metropolitana della capitale. Il comune ha gli stessi abitanti di Reggio Emilia, 170 mila, ma concentrati in appena 16 km quadrati, meno del centro storico di Roma. Un susseguirsi fitto di costruzioni, vecchie case basse e palazzoni di venti piani, dove vive un ceto popolare e di classe medio-bassa, e l’economia ruota attorno al grande mercato comunale de la Vega. Non c’è miseria e non ci sono lussi.
Jadue, un comunista alla Moneda?
Jadue è figlio di piccoli commercianti della comunità palestinese emigrata in Cile, è architetto, sociologo ed esperto in edilizia popolare. Da sindaco, grazie a un’interpretazione astuta della legge, ha aumentato i campi di intervento in capo al municipio, trasformandolo progressivamente in “ente economico”, per rispondere ai bisogni dei cileni, abituati a vivere in un Paese dove l’intervento pubblico è minimo.
Ha fondato la prima farmacia popolare cilena. Il municipio compra farmaci nel mercato nazionale e internazionale, riducendo così il prezzo di vendita al banco fino al 70% rispetto alle farmacie commerciali. L’iniziativa, osteggiata dai laboratori farmaceutici, è stata ripresa da molti altri comuni, riducendo ulteriormente i prezzi all’ingrosso.
Jadue non si è fermato alle farmacie, ha poi fondato “Recoletras e Recomúsica” per la vendita di libri e Dvd, uno studio dentistico e uno oculistico, “Óptica Popular”, una ditta di edilizia, l’università “Abierta de Recoleta” e “Energía Popular”, per rifornire di energia fotovoltaica il municipio. Tutte queste iniziative sono promosse da Innova Recoleta, ente municipale, presieduto dallo stesso Jadue, che lavora in coordinamento con imprenditori, associazioni, cooperative e le juntas de vecinos, i consigli di quartiere.
I successi da sindaco, una retorica affascinante e un piglio polemico ne hanno fatto il grande mattatore dei sondaggi per il prossimo inquilino della Moneda. Ma “il sentimento anticomunista è forte nel mio paese. E poi Jadue è altezzoso” avverte Arce.
“Joaquín Lavín è uno che non litiga con nessuno, sembra Ned Flanders dei Simpson, dice a tutti che hanno ragione. E non è detto che nel Cile nel 2021, nel pieno del processo costituente, questa strategia paghi. Secondo me si andrà sgonfiando” prevede Arce.
Lavin è un politico di lungo corso della destra cilena. Figlio delle élite rurali del paese, formatosi alla corte di Milton Friedman, membro dei Chicago Boys, nel Cile della dittatura era vicino all’ideologo del pinochettismo, Jaime Guzman. Con il ritorno della democrazia, divenne uno dei volti noti della destra repubblicana della Udi, sindaco, parlamentare, più volte ministro; nel 2000, per un pugno di voti, non divenne Presidente della Repubblica.
Al referendum costituzionale dello scorso ottobre, fu uno dei pochi leader della destra schierati apertamente per il Sì ad una nuova Costituzione. Il suo profilo da moderato è minacciato dalle candidature di Evelyn Matthei, sindaca di Providencia, e José Antonio Kast, entrambi con un 8-9% di consenso nei sondaggi, e con un profilo di destra identitaria.
Sorprese e delusioni
“Occhio a nonna Pamela – avverte Arce – può essere lei la vera sorpresa dei sondaggi. Palema Jiles è un curioso fenomeno politico.

Su Twitter si definisce “la nonna Pamela che vuole far terminare la festa dei potenti e raccontare tutto quello che nasconde la élite”. È populista, policlassista, parla ai sin-monedas, ai poverissimi. Punta ad essere la loro portabandiera, con la causa del ritiro dei fondi pensioni privati AFP, che ha festeggiato correndo in Parlamento, vestita da supereroe con mantello e piume.
“Il discorso della ‘nonna’ funziona. È stata eletta con la sinistra ma vuole reintrodurre la pena di morte. È volutamente ambigua, è una ex giornalista che conosce bene le regole dei media. E cresce nei sondaggi” segnala Arce.
“Ci sono poi le candidature della sinistra tradizionale della Concertación. E sono messe davvero male. Non riescono neanche ad entrare nei sondaggi. Paula Narváez, la candidata socialista benedetta da Michelle Bachelet, è in campo da un anno e nessuno la cita nei sondaggi” segnala la politologa.
La nuova sinistra del Frente Amplio, fondata dai leader dei movimenti studenteschi, è l’altro fantasma della sfida presidenziale. Benché di recente abbia indicato un proprio nome, Gabriel Boric, rischia di perdere la sua scommessa: “Con la storia, non con le elezioni. Puntavano ad essere l’alternativa non dogmatica ai comunisti e l’innovazione della Concertación. Hanno bravi leader, ma non hanno radici sociali né una solida base elettorale. Dovevano cambiare la sinistra e invece sono rimasti il vaso d’argilla tra i due vasi d’acciaio di Jadue e della vecchia Concertación, che bene o male continua ad avere una base militante”.
Dipende da chi va a votare
“Bisogna aspettare le elezioni dell’11 aprile – insiste Arce – se vincono gli indipendenti, si può sgonfiare il sistema dei partiti e cambiare la sfida presidenziale”. Tutto dipende da chi va a votare.
“Se come durante il referendum di ottobre, vanno a votare i giovani, soprattutto dei comuni urbani più poveri, potrebbero vincere le domande di cambiamento”.
La mappa mostra la crescita di partecipazione al referendum dello scorso ottobre. I comuni in blu sono quelli in qui la partecipazione è aumentata di più. E sono anche i comuni più poveri della capitale.
“Ma, anche se i costituenti dovessero essere tutti indipendenti, questo non eliminerebbe la diffidenza verso i “politici”. La diffidenza si deve al modello della dittatura di neo-liberismo e depoliticizzazione, del sono tutti uguali che ci hanno ripetuto per decenni, come ha scritto Kenneth Roberts nel suo Changing Course in Latin America” spiega Arce.
“Serve un’educazione popolare, un tv educante. Noi accademici dobbiamo uscire dalle torri d’avorio. E anche i partiti devono cambiare, sono depoliticizzati, pure macchine raccogli-consenso. Bisogna aumentare gli spazi di partecipazione, con meccanismi di democrazia diretta. Dare meno peso ai tecnici e più ascolto ai cittadini comuni. È una sfida di lungo periodo. E chiunque sarà il prossimo Presidente, sarà solamente una transizione verso il nuovo ordine, definito dalla prossima Costituzione” conclude Javiera Arce.
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