Cibo, mattone e vaccino
La risposta al virus
per andare oltre la crisi

Oltre che del malefico virus, l’anno che è passato sembra aver segnato anche il trionfo del cibo a conferma che la buona tavola o almeno una tavola discreta o una tavola abbondante  operano a compensazione di molte frustrazioni, dettate dalla pandemia e da tutte le disgrazie che la pandemia ha trascinato con sé: non parliamo dei lutti, una tragedia che ci lascia muti, ma di quanto ancora affligge e, probabilmente, ancora per un po’, affliggerà i sopravvissuti, mancanza di lavoro, relazioni sociali impedite, scuola relegata alla prospettiva unidimensionale di uno schermo, viaggi negati, isolamento, mascherine sul naso…

Un’atavica golosità

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Foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay

Il cibo dunque, in primo luogo, sulla scia di una atavica golosità, della quotidiana pietanza di ricette e fornelli somministrata da ogni canale televisivo, della invadenza di chef stellati o meno, mediocri eredi del vero unificatore d’Italia, più di Garibaldi o di Cavour, Pellegrino Artusi, all’insegna del suo fondamentale ricettario, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, nelle cui pagine si modella l’Italia che nel bisogno si ritrova coesa, riscoprendo, come testimonia una ricerca condotta da Coop e da Nomisma, i piatti cucinati in proprio, i prodotti nazionali, le diete salutari, con un occhio al prezzo e le orecchie chiuse alle sirene d’oltre confine.

Si legge nel rapporto (che non sfugge alla seduzione dell’anglismo): “… lo slow cooking che ha dominato nel 2020 continua a rafforzarsi aiutando gli italiani a spendere meno, difendendo qualità e salubrità. Il cibo sulla tavola degli italiani è prima di tutto sostenibile, ma questo concetto si fa più articolato e include a fianco del generico rispetto per l’ambiente l’aggiunta  di produzione locale e di filiera controllata…”.

I caposaldi del post-covid

La clausura (si dice “lockdown”) imposta dal virus ha indotto gli italiani a riscoprire anche le quattro mura domestiche. Così la casa resta uno dei caposaldi nel post-covid: “… così ristrutturazioni, domotica e acquisti di elettrodomestici figurano ai primi posti nella lista dei desideri”. Sulla spinta ovviamente degli incentivi decisi dal governo Conte, che ti lasciano immaginare che sia tutto gratis: cappotti (per la villetta), caldaie, frigoriferi, mobili vari, eccetera, eccetera. Come peraltro è in tanta parte vero.

Ma anche in questo caso è un’antica cultura che risorge, quella propensione alla proprietà immobiliare, che fa dell’italiano un popolo di padroni di casa e un popolo statico, poco disposto alla mobilità, poco propenso al cambiamento (in tutti i suoi  significati, in tutte le sue conseguenze). Come piaceva alla Dc del dopoguerra e a uno dei suoi più influenti “architetti”: Amintore Fanfani. I numeri (questi ministeriali) chiariscono: il 75 per cento delle famiglie, tre su quattro, risiede in una casa di proprietà; in generale, le abitazioni possedute da persone fisiche hanno un valore, includendo anche le relative pertinenze, di cinquemila e 500 miliardi di euro, mentre il valore complessivo del patrimonio abitativo supera i seimila miliardi.

La ricerca Coop Nomisma

Siamo concreti dunque. Si parte dal pane, dal companatico  e dai mattoni.  Poi, quando si comincerà a respirare un’aria quasi normale, si penserà allo sport e quindi alla salute, alla conoscenza, a visitare altri paesi, a cercare nuove amicizie e al tempo stesso a rafforzare i legami familiari, molti vivendo questa nuova dimensione individuale e sociale non in modo egoistico, ma confrontandosi con i mali del mondo, a cominciare dall’inquinamento, promettendo dunque comportamenti virtuosi. Così si farà attività fisica, ci si sposterà in bicicletta, si organizzeranno pranzi e cene in compagnia, si assisteranno gli anziani,  si indosseranno abiti sostenibili, cioè realizzati “nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori”.

Il primo contributo lo si darà vaccinandosi: sette italiani su dieci sono pronti, due nutrono qualche dubbio ma si convinceranno, resta un “uno” in bilico, in preda alla paura e soggiogato dalla cattiva informazione.

Il vaccino per la ripresa stabile

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Foto di fernando zhiminaicela da Pixabay

Il vaccino significa speranza e la prima voce riguarda una ripresa stabile dell’economia insieme con la stabilità del lavoro, che ci sarà, ma non subito, però, perché per un terzo degli intervistati (in questo caso appartenenti alla categoria dei manager) bisognerà attendere addirittura il 2025.

Il compito di indirizzarla, di avviarla, di sostenerla spetta al governo, ad un esecutivo nel quale per necessità si continua a credere, mentre meno affidabili sono diventate altre figure: i politici in genere, i giornalisti naturalmente (il quaranta per cento degli intervistati mostra diffidenza nei loro confronti), persino i religiosi. Gli “eroi” del nostro tempo  restano medici e infermieri.

La ricerca Coop Nomisma ci presenta anche una tabella che non si può dimenticare, una bella “torta” colorata in tanti spicchi e in tante percentuali per rispondere alla domanda obbligata: “Quando l’emergenza sanitaria sarà finita quale motto la rappresenterà di più?”. Si va dal 23 per cento di “costruire qualche cosa di nuovo” al due per cento di “rompere le regole”. In mezzo tante volte sette o otto per cento. Esempi: “trovare e dare amore”, “serbare e rinnovare fiducia”, “sentirsi ok così come sono”, “curarsi degli altri”,  “agire con coraggio”, persino “comprendere il mondo”.

I buoni propositi

covid-19Una enciclopedia di buoni propositi, che inducono ad un ritratto dell’italiano  medio, animato dalle più alte virtù morali, ghiotto di buoni e sani piatti casalinghi (ma con attenzione alla nostra agricoltura e al colesterolo e pronto a mettersi a dieta), custode della famiglia e del proprio domicilio, profondamente innovatore di video e tastiere (tra i suoi primi desideri sta la disponibilità di domotica, smart phone, smart tv, tablet e pc), consumatore oculato (con riguardo all’ambiente)…

Dopo tre secoli di dibattiti sul “carattere degli italiani”, dopo infinite polemiche sui vizi trasformistici  e sul trasformismo, sull’opportunismo, sull’individualismo, sul particolarismo dei nostri connazionali, il covid stando alle percentuali ci consegnerebbe finalmente l’italiano modello. Con un dubbio che insinua però in noi, riconducendoci alla cruda realtà, l’ultimo imprevisto sette per cento che confessa senza reticenze il suo sincero proposito: “spassarsela”.