Ciao Wladimiro. Grande cronista
una passione per la fotografia
Wladimiro Settimelli si muoveva nella redazione dell’Unità come un gatto sorridente, felpato, sempre a suo agio, con le sue scarpe scamosciate e i suoi maglioni a coste larghe, con la sigaretta in bocca (allora si poteva). Scriveva velocemente con una prosa pungente e attenta, chiacchierava con piacere delle cose che lo appassionavano di più: la fotografia, l’islamismo, la storia , quel giornale in cui era entrato giovanissimo e di cui conosceva vizi e virtù. Dai vecchi della redazione era considerato quasi un ragazzaccio, dai più giovani uno zio di quelli da cui c’è da imparare anche per questo suo modo così rilassato di raccontare.

Ma il suo essere rilassato non era certo disincanto, ché lui di passioni e di arrabbiature ne aveva da vendere. L’ultima (quasi una medaglia da appuntarsi sul petto) era stata la denuncia per diffamazione che gli era arrivata dal boia nazista Priebke per gli articoli che aveva scritto durante il suo processo. Lui il pianificatore e l’esecutore delle Fosse Ardeatine voleva 100 milioni dall’Unità e da Settimelli perché quegli articoli erano ingiuriosi. Roba da non credere.
Wladimiro non c’è più. Se n’è andato a 83 anni. Ottantatre anni spesi bene. Nato a Lastra a Signa subito fuori Firenze, era figlio di un antifascista condannato al confino e lui, raccontando quegli anni parlava di suo fratello Leoncarlo e di sua madre, di una Firenze a metà tra città e campagna, tra periferie e orti, tra campi e ville fuori porta. Poi l’arrivo a Roma giovanissimo e la politica e il Pci che non era una scoperta ma una eredità di famiglia. E subito l’Unità, quasi ragazzino. Wladimiro era davvero un cronista: curioso, capace di fare domande in giro, di pescare storie e raccontarle con vivezza. S’era occupato degli scandali del dopoguerra (che erano più numerosi e più cupi di quanto si ricordi) da Wilma Montesi in poi. In uno scandalo tra politica e banche che ora non ricordo più Wladimiro raccontava di esser stato spedito dal direttore, che era Pietro Ingrao, in cerca di documenti. Finì per scavalcare il muro di cinta di una villa e entrarci dentro a caccia di carte compromettenti. Le aveva trovate ma il giornale aveva alla fine deciso di non usarle per non metterlo nei guai.
Si era occupato da “cronista” di mille cose, ma quelle che gli stavano più a cuore erano certamente le vicende della P2, il caso Kappler. Su questo sapeva tutto, ricordava carte e documenti che sapeva rintracciare dentro faldoni gonfi, coglieva subito le contraddizioni e le cose che non andavano nelle storie e nelle ricostruzioni, e soprattutto nelle bugie difensive. Era temibile e temuto.
Chi aveva imparato a conoscerlo per il suo lavoro di “segugio” non si meravigliava quando cambiava rapidamente registro e parlava di cultura. La fotografia non era certo solo una passione: era, nella maniera più antiaccademica possibile, uno storico titolato in materia. Curatore dell’Archivio Alinari era capace di immergerti in una mare di immagini. Per lui la fotografia non era una disciplina dell’estetica ma un pezzo della storia. Non che non comprendesse la bellezza delle immagini, anche la loro astrazione artistica, è che gli premeva quella capacità della fotografia di raccontare gli uomini e le loro vicende. Raccontava con fascino le storie non tanto dei grandi fotografi quanto del contenuto delle loro immagini. Come ogni storico che si rispetti aveva una grande attenzione ai falsi. E di foto false ce n’erano un mucchio, cominciando da quelle del 29 settembre 1870: le immagini seppiate dei bersaglieri e della breccia che avevano riempito i sussidiari di storia erano state scattate il giorno dopo coi soldati in posa di arrembaggio ma senza più nessun papalino dall’altra parte. I falsi – diceva Wladimiro – in fondo erano dei documenti storici importanti proprio perché dimostravano la volontà di creare una iconografia più reale del reale.
Non so, invece, da dove venisse la sua passione per l’Islam, ma se la portava dietro da quando era giovane e l’Islam non era certo un tema di moda. Wladimiro dava del tu a Bausani, il grande vecchio degli studi di islamistica italiani e internazionali, traduttore del Corano.

Quando sui giornali si cominciò a parlare di guerra santa, di paradiso delle vergini, di fathwa lui veniva fuori per spiegare cosa fosse vero e cosa falso in quell’islam improvvisato dai quotidiani, presi alla sprovvista da una “guerra santa” incomprensibile ai più. Sull’Unità (peccato che non siano più rintracciabili, visto che il preziosissimo archivio è stato fatto sparire dalla rete) sono comparsi una valanga di suoi articoli su questo. Col giornale, anche dopo essere andato in pensione era rimasto un cordone ombelicale non reciso. Telefonava, passava anche a costo di un viaggio verso Zagarolo dove aveva deciso di trasferirsi. Con la scrittura era rimasta una dimestichezza straordinaria e il suo lavoro a Patria Indipendente, il giornale dell’Anpi di cui era stato direttore per qualche anno, aveva fruttato un bel numero di articoli bellissimi che potete andarvi a cercare (vedi qui).
Parlare di Wladimiro e del suo lavoro però non basta. C’era in lui una vitalità intellettuale, un gusto per la vita e per quello che poteva dare che non si lascia comprimere nel suo lavoro. Wladimiro era a suo modo sempre rimasto un irregolare pur nei panni seri del giornalista, dello storico della fotografia. Riguardando i suoi articoli su Patria Indipendente (sulla guerra di Spagna, su Verga, sulle Ardeatine, sui volti dei partigiani…) , ce n’è uno che mi ha colpito più di tutti.

E’ il ritratto di John Heartfield il padre del “dadaismo sociale tedesco” negli anni di Weimar. Un dadaista, un irregolare capace di però di vedere e far vedere più in profondità: “John – scriveva Wladimiro – aveva idee precise sulla fotografia. Sosteneva che la fotografia ingannava anche a prescindere dalle intenzioni del fotografo. Bastava guardare le fotografie propagandistiche a favore della guerra per capirlo. Poi aggiungeva: «Essa inganna perché il nostro occhio non è in grado di penetrare la realtà senz’altro, sulla base di una immagine momentanea quale è la fotografia. Occorrerebbe una scienza che neanche il migliore degli obiettivi potrebbe cogliere e produrre: conoscenza di cause ed effetti e conoscenze dei legami di questi con gli avvenimenti storici». Per spiegare ancora meglio Heartfield, diciamo che nei fotomontaggi, il nostro montatore ha trasformato la fotografia da mezzo di comunicazione di “impressioni”, a mezzo di “espressione” ugualmente efficace, ma di inaudita potenza”.
Ecco cosa lo appassionava e cosa cercava di comunicarci col suo sorriso e la sua barba ormai del tutto imbiancata.
I funerali di Wladimiro Settimelli si terranno domani, mercoledì 29 novembre, alle 14 a Palazzo Rospigliosi, nella – ormai sua – Zagarolo. A tutti i suoi familiari ed amici va il nostro abbraccio.
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