Ciao Gigi Proietti, per te l’Italia
sbrilluccica di lacrime e risate

“Che fai Morte, tentenni? Accorrimi, che più non reggo! Io te l’impongo”
“Son qua!”
Dialogo fra Brancaleone (Vittorio Gassman) e la Morte (Gigi Proietti) in “Brancaleone alle Crociate”, Mario Monicelli, 1970.

L’antica routine con la quale il vecchio cronista di cinema si accinge a scrivere i necrologi, quando muore un grande dello schermo e del palcoscenico, viene brutalmente sconvolta in questo 2 novembre 2020. Un po’ perché è il giorno dei morti, un po’ perché ci sarebbero da ricordare anche i 45 anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini, un po’ perché ci eravamo addormentati ieri sera con la notizia che Gigi Proietti era ricoverato per problemi cardiaci ma speravamo tanto, oggi, di potergli comunque fare gli auguri per il suo ottantesimo compleanno. E invece, stamane, siamo qui a piangere la scomparsa dell’amico più divertene che abbiamo avuto, che ha voluto farci l’ultima beffa morendo il giorno del suo compleanno. 80 tondi tondi, una bella età, e un po’ Gigi se la sentiva anche perché non gli piaceva molto invecchiare; ma i progetti erano tanti e il palcoscenico avrebbe continuato a essere la sua casa ancora a lungo. Invece, niente: scriviamo con le lacrime agli occhi. Addio, Gigi.

 

Da San Pietro in ginocchione…

Quando morì un altro grande della comicità romana, Alberto Sordi, Gigi Proietti gli dedicò un sonetto che oggi vale la pena di rileggere:

Io so’ sicuro che nun sei arrivato
ancora da San Pietro in ginocchione,
a mezza strada te sarai fermato
a guarda’ sta fiumana de persone.
Te rendi conto sì ch’hai combinato,
questo è amore sincero, è commozione,
rimprovero perché te ne sei annato,
rispetto vero tutto pe’ Albertone.
Starai dicenno: ma che state a fa’,
ve vedo tutti tristi nel dolore
e c’hai ragione, tutta la città
sbrilluccica de lacrime e ricordi
‘che tu non sei sortanto un granne attore,
tu sei tanto di più, sei Alberto Sordi”.

Se fossimo poeti, troveremmo una rima in “etti” per chiuderlo nel suo nome. Ma una piccola modifica, una licenza poetica, ce la prendiamo: la città (Roma) e il paese (l’Italia) non “sbrilluccica” solo di lacrime e ricordi, ma anche di risate. Perché i social traboccano di brevi filmati che ripropongono i suoi numeri più belli, soprattutto le barzellette – diremmo che prevale quella “der cavaliere bbianco e er cavaliere nero”, strepitosa – e mentre scriviamo il tg di Sky sta mandando in onda il brano di “Febbre da cavallo” in cui Mandrake gira la pubblicità del whisky, “un whisky maschio senza fischio” eccetera, e a noi vecchi cinefili fa piacere ricordare che la voce che gli intima “stop!” a ogni sbaglio è quella di Steno, il regista di quel film.

E’ stato un grande attore h24

Proietti è stato un gigante del teatro. Dai tempi delle “cantine”, quando recitava in testi impegnati ed era, parole sue, “un attore serio” (ed è spassoso il suo ricordo di quando interpretò l’upupa negli “Uccelli” di Aristofane, indossando una calzamaglia verde che accentuava le sue gambe sottili “tipo Cremino”: se cercate “Proietti” e “upupa” su youtube trovate un filmato in cui racconta quell’esperienza a Serena Dandini). Poi il musical, “Alleluja brava gente”, gli spettacoli in solitario a cominciare dallo strepitoso successo di “A me gli occhi please”, la direzione del Brancaccio e del Globe, l’attività di docente e maestro che ha formato allievi bravissimi. Ma Proietti era attore, come si dice oggi, “h24”. Non usciva mai dal ruolo perché il ruolo gli piaceva e coincideva con la sua personalità. Bastava avesse davanti due-tre persone, e quelle persone erano un pubblico. Se c’era una chitarra intonava stornelli, se non c’era partiva con le barzellette. Era il più grande raccontatore di barzellette di sempre, probabilmente alla pari con Walter Chari; di più, era un collezionista di barzellette, e godeva come un bambino quando riuscivi a raccontargliene una che non conosceva. Anni fa, sull’Unità, facemmo un’intera pagina sul film “Le barzellette” dei Vanzina che – a differenza di tutti i colleghi critici – ci era sembrato un capolavoro, un’idea balzana e originalissima: un film senza una storia in cui si passava da una barzelletta all’altra in una folle cavalcata. Proietti era una sorta di “capocomico”, a capo di una squadra in cui c’erano Izzo, Salvi, Buccirosso, Giusti. Alcuni pezzi erano semplicemente meravigliosi, dal direttore d’orchestra ucraino (“Kiestopovic! Chi è? ‘Sto povic!”) che sente una puzza strana al duetto avvocato/villico in cui fa entrambi i ruoli (“qui s’ii inculamo, qui te se inculano…” “Avvoca’, ma com’è che quando s’ii inculamo semo in due, e quando me se inculano so’ solo io?”), e tanti tanti altri. Carlo ed Enrico Vanzina rimasero abbastanza stupefatti da quella pagina, in cui paragonavamo il film a “Il fantasma della libertà” di Bunuel (stessa struttura, stessi passaggi da uno sketch all’altro), e anche a Proietti la cosa fece piacere. “Barzellette” è un tour de force comico che, nel cinema dei Vanzina, è eguagliato solo dall’incredibile sketch della “Signora delle camelie” nel film “Un’estate al mare”. Anche questo, cercatelo su youtube: Proietti è un vecchio attore che non sa la parte ed è pure sordo, per cui fraintende tutte le battute che il suggeritore Spartaco gli sussurra all’orecchio; per cui la bellezza di Margherita (Gautier), “che ignota mi era e ignota resterà”, diventa “che mignotta, e mignotta resterà”. Un trionfo di scurrilità che diventa poesia assoluta! Gigi amava le parolacce, ne traeva studio linguistico, sfoggio di cultura: la sua analisi della parola “stronzo”, altro sketch fantastico, è degna di De Saussure.

Al cinema tra Monica Vitti e Gassman

Quando si parlava di cinema, Proietti diceva sempre: “Io il cinema l’ho fatto poco”. Piccola bugia: un’ottantina di film non è “poco”, anche se va detto che i ruoli da protagonista non sono tantissimi. Lui amava molto l’esperienza con Tinto Brass, quando il regista veneziano era ancora “godardiano” e non indugiava sulle scene di sesso: parliamo di film come “L’urlo” (1968) e “Dropout” (1971), davvero degli Ufo nel cinema italiano di quegli anni. E poi ricordava con affetto “Un matrimonio” di Robert Altman (1978), perché gli aveva dato l’occasione di lavorare nuovamente con Vittorio Gassman e per la libertà che il grande regista aveva dato ai due italiani, lasciandoli liberi di inventare quasi da zero la sequenza che dovevano recitare assieme. Un altro regista con il quale c’era un’intesa totale (anche in teatro) era il suo omonimo Gigi Magni: “La Tosca” (1973) rimane uno dei capolavori misconosciuti del nostro cinema, una rilettura di Puccini (e soprattutto di Sardou) con le musiche pop di Armando Trovajoli che affondava nell’attualità italiana degli anni ’70 (i famosi versi “se invece poi te dicheno / che il morto si è ammazzato / allora è segno certo / che l’hanno assassinato” alludevano alla morte dell’anarchico Pinelli). Nonostante un cast pazzesco (Monica Vitti, Vittorio Gassman, Aldo Fabrizi, Umberto Orsini) il film non ebbe successo e l’idea di “musical comico-politico” dalla quale Magni era partito rimase lettera morta; però “La Tosca” ha acquisito nei decenni uno status di culto (conosciamo gente, a cominciare da noi stessi, che lo sa a memoria) e soprattutto ha regalato a Proietti una canzone, “Nun je da’ retta Roma”, che è diventata “sigla” dei suoi spettacoli e vero e proprio cavallo di battaglia. Questo ci permette di ricordare che Gigi era anche un ottimo cantante: Magni ci raccontò, una volta, che al montaggio la Vitti era sempre accanto a lui (era anche produttrice) e quando rivedeva Proietti che, nel duetto iniziale, cantava “Vabbè, che ce voi fa’, questo è l’amore!” sussurrava al regista: “Anvedi quanto strilla ‘sto fio de ‘na mignotta!”. Lei, Monica, era intonata ma aveva una voce bassa e un po’ flebile che al mix andava “alzata” perché il tonitruante Proietti non la sommergesse. Piccoli trucchi da sala d’incisione. Pare che, quando Trovajoli glielo fece notare, Monica abbia risposto: “Arma’, pure te, m’hai scritto ‘na parte che manco ‘a Callas!”. Forse è leggenda, ma nel cinema le leggende sono spesso troppo belle.

La sua collaborazione con Sergio Citti

Un altro regista con il quale Proietti si era trovato benissimo era Sergio Citti, che nel suo stile surreale e anti-naturalistico non poteva non amare un attore così duttile e così “oltre”. La sua partecipazione a “Casotto”, in coppia con Franco Citti, è divertentissima: e la scena in cui si prendono in giro per i “piedi neri”, sporchi di catrame, dovette esser girata molte volte perché i due scoppiavano immancabilmente a ridere. Invece, forse, non è un caso che Proietti non abbia incrociato – per quanto alla fine delle loro carriere – i giganti della commedia all’italiana, con l’eccezione naturalmente di Monicelli e di una particina in “Se permettete parliamo di donne” di Scola: in quel cinema così realistico un attore come lui era fuori tono. In “Brancaleone alle Crociate” Proietti fa tre ruoli. Tutti lo ricordano come Pattume, il peccatore che si punisce per un peccato inconfessabile; molti lo individuano nel ruolo dello stilita Colombino, che dirime lo scisma papale dall’alto di una colonna; i più accorti riconoscono la sua voce nelle scene in cui Brancaleone/Gassman parla con la Morte, ma pochi sanno che sotto quel mantello c’è davvero lui, Gigi, anche nelle scene girate nel deserto algerino. “Cercai di evitare quel ruolo. Dissi a Monicelli che al limite potevo doppiarlo, ma poteva interpretarlo chiunque, tanto portavo sempre una maschera da teschio. Lui insistette e a posteriori gliene sono grato. Il costume pesava una tonnellata, la falce era vera e difficile da maneggiare, in Algeria c’erano cento gradi all’ombra… ma fu bello!”.

Come tutti i comici, Proietti amava scherzare sulla morte. La morte è al centro di migliaia di barzellette, come la fame e il sesso. Probabilmente il suo sketch più amato – quello che il pubblico gli chiedeva sempre a gran voce – è quello di Toto, che per altro nasce da “Casotto”, nella scena in cui Paolo Stoppa – padre di Jodie Foster, che vuole affibbiare a qualcuno la figlia incinta – gli dice “Ma tu sei er fio de Toto!…”. Lo sketch di Toto è la storia di un tizio che va alla “saùna” e ci muore, ci rimane “liqueso”. Il tormentone “ma nun c’anna’, ma che ce vai a fa’” suona tristemente profetico, oggi, eppure noi ci sentiamo di darvi un consiglio: passate la giornata su youtube. Mai come oggi, youtube è prezioso: c’è praticamente tutto Proietti, lì dentro, e facendovi una personale carrellata di barzellette, di sketch e di scene da film passerete un 2 novembre all’insegna della risata. È quello che Gigi vorrebbe, anzi: è quello che tutti i morti, se potessero parlare, vorrebbero.