Chi protegge le minoranze dalle aggressioni di Salvini?
Le parole, per un politico al potere, non esprimono mai semplici opinioni, sono un fatto in sé. Se la frase sui rom fosse uscita da una intercettazione, forse qualche Procura sarebbe già al lavoro. Ma siccome non ci sono cimici o colloqui rubati e trascritti con solerzia da un maresciallo, le parole di calcolata violenza uscite dal senno di Salvini non stuzzicano i magistrati.
Eppure il richiamo al censimento etnico, come evento simbolico e punitivo distinto da quello effettuato sui cittadini italiani, anche se non verrà effettuato, ha comunque prodotto un evento in sé. L’attribuzione a una minoranza di propensioni delinquenziali, e soprattutto quel “purtroppo” sui rom italiani, non rientrano nell’ottica delle discutibili opinioni, tra le quali vige la sovrana regola del relativo. Hanno già evidenziato una disapprovazione etica di un organo dello Stato su una minoranza che in quanto tale appartiene al negativo.
Su quello che il capo leghista ha detto in una televisione lombarda, il pluralismo dei punti di vista non c’entra proprio nulla. E’ accaduto, con le parole premeditate, un evento effettuale per cui il governo, quale espressione della politica nazionale, stigmatizza una minoranza per il solo fatto di essere tale. E’ inutile invocare qui la libertà del giudizio.
Le credenze politiche si scontrano sul terreno politico, un campo aperto e duro dove il rapporto di forza non lascia scampo. Le frasi del ministro degli interni non appartengono però alla contesa politica, anche la più aspra che riguarda interessi e valori. Rappresentano un qualcosa di indicibile, solleticano corde di aggressività su una base etnico-comunitaria. Tutto ciò trascende la polarità delle contrastanti visioni del mondo. E la tutela dei soggetti, colpiti dalle parole dure pronunciate da un governante irresponsabile, non riguarda solo l’opposizione politica, abbraccia gli organi di uno Stato costituzionale di diritto.
Di sicuro quelle di Salvini sono immagini cariche di intolleranza non degne di un ministro della Repubblica. Se come sembra, le sue parole sono in aperto contrasto con i diritti costituzionali, con lo spirito delle carte e delle convenzioni internazionali, si pongono problemi di protezione dei soggetti colpiti. Invocare un’attenzione delle Procure anche al contenuto manifesto o nascosto di certi proclami sulle minoranze – come ha fatto ieri Roberto Speranza, denunciando il ministro per istigazione all’odio razziale – nulla ha a che fare con il giustizialismo.
La striscia di autoritarismo demagogico che il governo del cambiamento si porta dietro non si arresta con un avviso di garanzia. E però, quando una minoranza viene aggredita dal potere, ed esibita come simbolo del disvalore per farne un capro espiatorio, esistono anche tutele giurisdizionali, rispetto alla violenza delle metafore e del linguaggio, che andrebbero attivate. La ruspa riguardava i campi rom, ora ad essere colpiti sono i soggetti in quanto tali. Il detentore di cariche di governo, finché si resta in uno Stato costituzionale di diritto, non è svincolato dalle norme, anche quando alla poltrona di vice presidente del consiglio e al Viminale siede Salvini, purtroppo.
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