Che cosa dovrà offrire il Pd all’Italia
del dopo-covid
Poniamoci qualche domanda.
Quanti sono gli iscritti al Partito Democratico? Poche centinaia di migliaia e concentrati in poche regioni.
Quanti sono i cittadini che si impegnano nelle reti civiche, associative e di volontariato su temi che coincidono con il nostro universo di valori? Milioni.
Ancora. Dal 2008 al 2018 il Partito Democratico ha vissuto un dimezzamento della propria consistenza elettorale, attraverso scissioni ma anche attraverso uno svuotamento lento e inesorabile di energie militanti. C’è un declino? Evidentemente si.
Infine. Se guardiamo al complesso arcipelago delle formazioni politiche e parlamentari che in questi dieci anni si sono costituite nel campo progressista scorgiamo una delle costanti della storia italiana, vale a dire che l’opinione pubblica democratica e progressista vale quasi un terzo del Paese.
Insomma, c’è bisogno di un nuovo ciclo, di una nuova offerta politica, semplicemente di una proposta soprattutto perché il profilo politico del paese è alla vigilia di un grande cambiamento. Il dopo Covid, se ci sarà, rimetterà in modo energie e volontà che bisogna cogliere e interpretare per tempo.
Da cosa dipende questo declino?
Da cause soggettive e da cause oggettive.
Nuove forme di partecipazione
Abbiamo intuito prima di altri che la società esprimeva l’esigenza, oramai prevalente, di nuove forme partecipative non più compatibili con le tradizionali “forme partito” e con certi loro riti; che le forme dell’intermediazione politica con i cittadini e con le masse avevano intrapreso strade più mobili.
Fu usato impropriamente il termine di “partito liquido” per caratterizzare negativamente la ricerca di un nuovo modello democratico e partecipativo dell’organizzazione politica, teso a garantire una maggiore permeabilità con un vasto tessuto civico e associativo, con la tendenziale mobilità e tematicità dell’impegno civile dei singoli cittadini, con un profilo ideale ed un arco di valori delle giovani generazioni in cui accanto agli elementi del “collettivo”, trovavano sempre più spazio anche quelli del “privato”.
Era arrivata, in un certo senso, l’onda lunga del ’68 con la definitiva affermazione di un principio antigerarchico nella vita civile che non considerava più le strutture organizzate politiche e sindacali di ogni genere una “guida” assoluta e che ha portato in pochi anni milioni di persone a “militare” fuori dei partiti, nelle realtà civiche e associative, a trovare e scoprire la concretezza dell’agire politico ed il suo appagamento oltre e fuori dai partiti tradizionali.
Costruire un partito non solo di “iscritti” ma anche di “elettori”, a vocazione maggioritaria, aperto, aveva questo obiettivo: mettere in movimento un soggetto politico inedito, capace di far entrare nuova linfa, di scambiare, di mettersi continuamente in relazione con la società civile per mantenere vivo un arco di valori, una sintesi sempre più vera e profonda tra i filoni vitali della nostra democrazia: socialista, liberale, cristiana.
Non ci siamo riusciti nella misura sufficiente.
Il vecchio ha afferrato il nuovo
Ad un certo punto, infatti, “il vecchio ha afferrato il nuovo” e sono risorte, vieppiù consolidandosi, antiche pigrizie partitiche e correntizie, tuttavia senza i pregi dei partiti radicati e popolari e senza i pregi delle correnti portatrici di apporti ideali, culturali e programmatici.
Molto si deve ad una brutta legge elettorale (“il Porcellum”) che per dieci anni ha conformato nel senso esattamente contrario all’ispirazione del Pd, il movimento di selezione delle classi dirigenti e delle rappresentanze elettive, dall’alto verso il basso in modo unilaterale e non attraverso uno scambio biunivoco tra gruppi dirigenti e apporti esterni.
Volevamo un partito aperto ma le ferree regole di una legge elettorale incostituzionale hanno offerto su un piatto d’argento, alle elìtes delle vecchie correnti di tutti i vecchi partiti fondatori, la possibilità di autoriprodursi, quasi sempre in peggio.
Nel 2008 la crisi economica e finanziaria globale ha fatto esplodere in un tempo rapido il centro delle società occidentali modificando il DNA dei tradizionali ceti medi diventati da baricentro della stabilità democratica a propellenti del populismo e degli istinti peggiori, vecchi e nuovi, che albergano nei fantasmi dell’Occidente.
Il mondo del lavoro, dei lavori e delle professioni è cambiato sotto l’impulso di una rivoluzione tecnologica che ancora oggi distrugge più vecchia occupazione di quanta non riesca a crearne di nuova e che impone forti investimenti pubblici per la scuola e la formazione, ancora lontani dalla portata dei singoli stati europei ed in particolare dell’Italia.
Questa nuova condizione ha messo in discussione il “lavoro” come dimensione sociale aggregata ma anche come valore e persino come etica colpendo in profondità una delle stesse ragioni identitarie, ideali e di radicamento della sinistra in tutto l’Occidente.
La sinistra, che fonda le sue radici e la sua identità nel lavoro, ne è uscita indebolita sul piano ideale e del radicamento sociale mentre sono risorti estremismi di destra, formazioni neofasciste, razziste, nazionaliste, xenofobe.
In Italia il Movimento Cinque Stelle e la Lega di Salvini hanno, inizialmente incanalato in forme diverse e con sviluppi diversi, verso derive populiste ed in modo magmatico, buona parte del disagio e delle incertezze determinate dalla crisi ma anche una parte di quelle spinte “positive” che noi avevamo visto per tempo ma che non avevamo saputo cogliere ed organizzare.
Lo hanno fatto anche grazie ad una “forma politica” mobile e che, a dispetto del carattere sostanzialmente verticistico di questi partiti è apparsa più aperta e più permeabile del Pd.
La crisi generale della sinistra europea
Le circostanze oggettive legate alla crisi generale della sinistra europea e i limiti soggettivi del Partito Democratico nel costruire un rapporto aperto con la società civile hanno reso assai faticosa e non sufficientemente efficace la giusta narrazione e la migliore traduzione al cospetto dell’elettorato dei cinque anni di governo guidati dal PD prima con Letta, poi con Renzi ed infine con Gentiloni.
Governi che hanno salvato l’Italia dal rischio di un collasso sociale e finanziario prodotto dai precedenti governi di centrodestra e che hanno avviato importanti riforme in numerosi campi della vita economica, civile e sociale del Paese.
La stessa sconfitta al referendum sulla riforma della Costituzione e delle massime istituzioni del 4 dicembre 2016 è, in parte, figlia di questi fattori oggettivi e soggettivi che hanno impedito e ostacolato la costruzione di un vasto e maggioritario consenso popolare a sostegno del percorso riformista ed europeo di cui il PD e i suoi governi si erano fatti carico.
Per questo è giusto dire che già da anni si è chiuso il secondo ciclo della storia dei “Democratici”, quello del primo PD, di un partito non del tutto nuovo, né del tutto vecchio.
Nel settembre del 1975, Aldo Moro parlò alla Fiera del Levante circa la necessità di una “terza fase” della democrazia italiana e della funzione della DC.
Il “centrismo” era durato più di dodici anni esaurendosi all’inizio degli anni ’60, quando proprio Moro promosse la costituzione di un centro-sinistra “organico” che durò, all’incirca, per lo stesso arco di anni.
Alla metà degli anni ’70 appariva, per Moro, necessaria una “terza fase” basta su un confronto di collaborazione e competizione con i comunisti.
Egli fu stroncato ma la forza di quella idea fu poi alla base della nascita del Pd.
Dopo le elezioni del 2018 si sono determinate nuove circostanze. Nel primo anno e mezzo di legislatura, la coalizione gialloverde ha cercato di dare alle varie espressioni populiste una forma di governo per superare la crisi italiana ma sono emerse ben presto e in modo sempre più radicale le profonde distanze tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle su alcune discriminanti di fondo: in particolare sulla giustizia sociale e sull’ambiente.
Un quadro politico fragile
La crisi del Governo “Conte 1”, che aveva alla base queste profonde differenze già in partenza, si è accentuata dopo le elezioni europee del 2019 che hanno determinato una nuova maggioranza politica e, grazie anche al ruolo svolto da Giuseppe Conte, hanno portato il Movimento Cinque Stelle su posizioni più aperte ad una visione europeista.
Anche l’Europa è cambiata. L’avvio della nuova Commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen ha modificato la condotta dell’Unione Europea in materia di politica economica mettendo al centro una nuova visione sociale di lotta alla povertà ed alle diseguaglianze e di forti investimenti per un nuovo modello di sviluppo basato sull’innovazione tecnologica, la sostenibilità ambientale.
E’in questo contesto che è maturata la svolta politica che nel corso dell’estate del 2019 ha portato alla formazione di un nuovo Governo, presieduto da Giuseppe Conte e sostenuto da una maggioranza nuova centrata sul Movimento Cinque Stelle e sul Partito Democratico.
Il Governo Conte “ha lavorato per un anno e mezzo affrontando la sfida imprevista della pandemia, che ha reso ancor più urgente la gravità della questione ambientale, la redazione del Piano Nazionale per la Ricostruzione e la Resilienza (sulla base degli indirizzi della Unione Europea) per il quale ha ottenuto, rispetto a tutti gli altri Paesi, la maggiore quota di risorse disponibili, pari a 209 miliardi di euro da impegnare entro il 2026.
Il quadro politico italiano è tuttavia rimasto fragile ed attraversato da continue tensioni che sono precipitate a cavallo della fine del 2020, evidenziando i limiti di una coalizione e dei partiti che la componevano non ancora sufficientemente coesi per affrontare i nuovi grandi obbiettivi legati al PNRR.
Con la nascita del Governo Draghi, sostenuto da una maggioranza amplissima e inedita – con la sola esclusione di Fratelli d’Italia – si è determinata una situazione nuova ed imprevista che impone al Partito Democratico – che ha vissuto un traumatico cambio di leadership – una riflessione ed una iniziativa sulla sua stessa natura, non più rinviabile.
Il Governo Draghi deve avere il massimo sostegno del PD anche e soprattutto per garantirne pienamente l’ispirazione europeista e gli obbiettivi di riforma proposti dal Presidente del Consiglio al momento del suo insediamento. Tuttavia non si può non vedere che la collaborazione con la destra apre per il Pd il tema di una più netta definizione del proprio profilo e di una autonomia di iniziativa nel Parlamento e nel Paese.
1/SEGUE
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati