Che cosa c’è dietro la “guerra della monnezza” che colpisce Roma

Roberto Gualtieri si è presentato subito, ieri, al Consiglio comunale di Roma, per avvertire: “Non ci fermiamo, andiamo avanti con le decisioni prese, in particolare per la costruzione di due bio-digestori e di un termovalorizzatore di nuova generazione”. Il sindaco ha fatto esplicito riferimento all’esercizio dei poteri straordinari conferitigli dal governo, poiché l’incendio che è divampato mercoledì a Malagrotta “rende fondamentale e ancora più urgente superare l’insufficienza degli impianti e degli sbocchi dei rifiuti romani”. Entro luglio il piano sarà pronto e si passerà alla fase operativa. Il sindaco ha anche confermato l’impegno del procuratore capo Francesco Lo Voi per accertare le cause dell’incendio.

 

E’ in atto una battaglia per il business dei rifiuti

Insomma, la sensazione che nella giunta capitolina si sia fatta strada l’ipotesi di un atto doloso è confermata dalle pur misurate parole del sindaco. A parte l’immediata preoccupazione per i rischi della salute (chiusi gli asili e i centri estivi nel raggio di 6 chilometri in quella zona di Roma, raccomandazione di finestre chiuse, anche se i primi dati delle centraline ARPA indicano che non si sono superati i limiti di legge nelle emissioni di sostanze inquinanti), Gualtieri definisce l’incendio che ha devastato il TMB2 di Malagrotta “un colpo al sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti”. E i romani, come i visitatori della Capitale, sanno quanto già la situazione superi la decenza nelle condizioni ordinarie.

Il rogo di Malagrotta di mercoledì 15 giugno, ha prodotto danni strutturali al TMB2, che sottoponeva a trattamento meccanico biologico 5400 tonnellate a settimana di rifiuti non riciclabili. Il TMB1, invece, lontano dall’incendio, non appena si saranno concluse le operazioni di spegnimento, potrà riprendere a lavorare le sue 4000 tonnellate settimanali. Si tratta di impianti che – di proprietà del “re della monnezza” Cerroni – dal 2018 sono in amministrazione giudiziaria.

Si può purtroppo azzardare la previsione che le indagini della magistratura non riusciranno a stabilire responsabilità, o almeno così è stato dopo l’incendio del TMB Salario nel 2018 e dopo il rogo al TMB di Rocca Cencia nel 2019 (impianti di proprietà AMA).
Se si sta combattendo una guerra sul business dei rifiuti, è una guerra combattuta con il favore delle tenebre, favorita dalla alta infiammabilità dei materiali stoccati e dalla difficoltà di trovare gli eventuali inneschi.

Una guerra che è stata ravvivata dall’annuncio della volontà della nuova amministrazione di procedere alla costruzione di nuovi impianti? Difficile a dirsi, visto che gli incendi del 2018 e del 2019 si sono verificati durante l’amministrazione Raggi, che aveva una strategia opposta a quella dell’attuale giunta.
Il dato oggettivo è che Roma e il Lazio soffrono di una cronica carenza di impianti, con il risultato paradossale di tariffe altissime e servizio pessimo.
Riportiamo i dati del gruppo di ricerca “Reti” di Roma ricerca Roma, coordinato da Federico Tomassi nel 2021.

“Roma produce il 78% dei rifiuti del Lazio. Non essendo stata mai pianificata una filiera alternativa di smaltimento rispetto alla megadiscarica privata di Malagrotta, chiusa nel 2013, Roma è deficitaria per tutto: mancano gli impianti di riciclaggio delle varie filiere (carta, plastica, metallo, ecc.), soprattutto della frazione umida, e manca un termovalorizzatore (TMV) che, dopo aver selezionato quanto riciclabile e mandato in discarica quanto necessario, utilizzi a fini energetici il residuo. L’unico tipo di impianti industriali a Roma sono per il trattamento meccanico-biologico (TMB), anche questi comunque insufficienti, che trattano i rifiuti non riciclabili per inviarne una parte in discarica e un’altra ai TMV fuori regione, vista la ridotta capacità di assorbimento dell’unico nel Lazio, a San Vittore. L’insufficienza degli impianti espone il sistema dei rifiuti al potere di mercato di chi ne dispone nelle altre regioni, e peraltro lo sbocco dei rifiuti indifferenziati romani rimaneva nel 2018 per il 78% la discarica, una “non-soluzione” contraria alle indicazioni dell’UE. Ma il ritardo tecnologico viene da lontano, perché la politica romana non ha quasi mai investito sul ciclo dei rifiuti, relegando l’AMA alla sola funzione di raccolta, e lasciando coniugare monopolio privato ed estrazione di rendite al proprietario di Malagrotta”.

Il prezzo che pagano i cittadini romani

In tutto il Lazio vengono prodotte 3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani all’anno, di cui il 77% nella città metropolitana di Roma (Regione Lazio 2019: 65-85). Di questi 3 milioni, 1,4 sono raccolta differenziata (a Roma l’incidenza della differenziata è leggermente più bassa della media regionale) ma solo 1,1 sono effettivamente avviati al riciclo. Dei rimanenti 1,8 milioni: 335mila tonnellate vanno nelle discariche regionali, 330 in impianti di compostaggio, 345 nel TMV di San Vittore, 850 fuori regione (di cui 250 in impianti di compostaggio). L’attuale dotazione impiantistica di AMA copre solo il 15% del totale dei rifiuti prodotti a Roma, ossia 25% dell’indifferenziato, 10% del multimateriale e l’8% dell’organico, portando il resto a una distanza media di 209 km nel 2019.

In mancanza di impianti adeguati, invece di guadagnare dal trattamento dei rifiuti Roma deve pagare per lo smaltimento, cosicché il costo per i romani è elevato. Il gettito della TARI è infatti enorme, pari a 820 milioni di euro al lordo dell’IVA, di cui, secondo quanto dichiarato dall’assessore regionale ai rifiuti, ben 200 vengono spesi per trasportare, trattare e smaltire i rifiuti fuori regione. Peraltro lo sviluppo della raccolta differenziata, ovviamente positivo, ha determinato un notevole incremento delle risorse ad essa destinate (dai circa 150 euro per tonnellata del 2007-09 agli oltre 300 del 2019, a fronte di ricavi molto bassi) mentre si riducono le risorse per pulizia e spazzamento stradale.