Una strategia per battere
i due populismi
del governo gialloverde
Nel parlamento va in scena un ulteriore attacco ai rimanenti cardini del costituzionalismo. Il bicolore gialloverde cancella d’imperio i poteri residuali delle camere e impone drastiche misure di contingentamento dei tempi che riducono il voto in aula a un passivo atto di ratifica della manovra attraverso l’arma della fiducia. L’opposizione dà segni di risveglio ma il problema che ne mina in partenza la credibilità è che il ruolo del parlamento era stato, su altri campi non meno rilevanti, già minato in radice dagli stessi soggetti che oggi insorgono indignati dinanzi agli abusi eclatanti dell’esecutivo attuale.
L’opposizione ha pienamente ragione nell’affrontare a muso duro il governo che straccia le competenze del parlamento e ha argomenti di sicuro validi nel coinvolgere nell’affondo lo stesso presidente della camera che non difende come dovrebbe l’autonomia e la dignità delle istituzioni. Un discorso di verità, e di riflessione critica sulla storia recente, dovrebbe però essere propedeutico per ricostruire un’opposizione credibile e quindi incisiva. Senza un tale atto di riconsiderazione dell’esperienza dell’ultima legislatura, e di aggiornamento del paradigma politico-istituzionale, anche le opportune agitazioni contro il governo dell’avventura rischiano di essere percepite come atti di una reazione propagandistica.

La condotta spregiudicata del governo conferma che le due forze oggi al potere non sono distinguibili in materie cruciali come la cultura della costituzione, l’assetto dello Stato (il regionalismo differenziato è l’anticamera della dissoluzione della compagine statale unitaria), la libertà di informazione (provocatorio è l’invito del presidente del consiglio a radio radicale, un prezioso archivio di convegni, dibattiti dal quale chiunque faccia ricerca non può prescindere, ad affidarsi al mercato), il ruolo dell’università e della ricerca, i diritti del lavoro e dei pensionati (paragonati “agli avari di Moliere”) . Vano è perciò il tentativo goffo di disarticolare il quadro di comando favorendo la scomposizione dell’alleanza populista in virtù dello sganciamento del M5S dall’abbraccio con la Lega.
Anche se le parole di Conte sono spesso un chiacchiericcio irrilevante e senza alcun effetto reale, che è quindi da perditempo prendere in seria considerazione (come fanno certi commentatori fantasiosi che vedono addirittura nei suoi inutili giri di parole la nascita di un premier, anche se non ancora un leader politico), questa volta nella conferenza di fine anno ha detto una cosa attendibile. E cioè che il governo è forte perché comune è l’ispirazione populista.
Dinanzi al governo dei due populisti, è incredibile che la sola ossessione che agita la sinistra in rischio di estinzione sia quella di scegliere un interlocutore nel campo avversario. C’è chi punta a “bordeggiare” la Lega e a incalzare l’area Savona-Bagnai sotto la carta del sovranismo, declinato come una nuova sfida patriottica (oltre destra-sinistra; capitale-lavoro) alla cappa di piombo del Berlino consensus. E quindi inviti al governo ad andare avanti, in nome di un fronte patriottico, e censura all’esecutivo per la ritirata consumata proprio nella scrittura della manovra. Un puro e velleitario vicolo cieco.
E l’altra tendenza, che ha visto offrire la tessera a Fico (!), fantastica sul carattere di sinistra del M5S (il governo del cambiamento risolve ogni enigma interpretativo e segna come dirimente l’opzione di destra compiuta dal non-partito), ritenuto un serbatoio di voti in libera uscita da recuperare dopo un congiunturale errore di smarrimento. Per alcuni esponenti della sinistra, il non-partito di Di Maio e Conte (impegnati in un duello mistico per mostrare la collana di padre Pio o baciare le reliquie di san Gennaro), non solo è di sinistra ma addirittura “rivoluzionario”. Dall’analisi sbagliata, la sinistra è indotta all’immobilismo e alla minaccia di una definitiva estinzione. Manca ogni strategia, la capacità politica pare sfumata. E soprattutto è assente la domanda giusta sull’obiettivo da porsi nel breve termine. Che non è quella, posto da qualcuno, “come possiamo tornare a vincere?”. Dimenticare il governo, da raggiungere con alchimie stravaganti e inutili contorcimenti trasformistici è la prima ricetta per tornare a vivere in futuro.
L’ossessione della sinistra non deve essere quella di rivedere in tempi brevi Palazzo Chigi. Il suo assillo deve essere quello di ripartire dai movimenti sociali per riconquistare il secondo posto nelle preferenze elettorali e giocare in autonomia ideale in un sistema tripolare. Quando una coalizione o un partito precipita al terzo posto, il rischio dell’irrilevanza l’accompagna, anche perché perde voti in tutte le aree del paese e in direzione sia leghista sia grillina. In Inghilterra, quando i liberali sono diventati il terzo partito, non sono più riusciti a riconquistare la loro antica centralità competitiva. Per scongiurare il rischio di ripetere le prestazioni dei liberali britannici, la sinistra dovrebbe con pazienza e curiosità costruire una alternativa di sistema. Diritti umani, dignità della persona, autonomia delle funzioni pubbliche, riferimento europeo, senso della statualità, idea di società, modello di sviluppo, presenza del lavoro, ruolo dei partiti e del pluralismo sociale, sono colpiti al cuore dal populismo dominante che abbatte il costituzionalismo e delinea una diversa forma di Stato dal volto regressivo.
L’alleanza populista tra il nano-capitalismo nordico, affamato di deroghe al regime fiscale, decontribuzioni, cancellazione del diritto del lavoro e l’assistenza suggerita dal gavismo due punto zero, è di segno immobilista, la sua carica è del tutto distruttiva, altro che misure spacciate per ricette neokeynesiane. Quando il lavoro e il ceto medio prenderanno coscienza di questa espropriazione che si chiama reddito di cittadinanza e flat tax, che li colpisce come bancomat per soddisfare pure esigenze di consenso elettorale, sarà troppo tardi, perché il risveglio dai guasti del populismo-sistema non avviene prima della catastrofe. A sinistra i segni di agitazione in parlamento e i movimenti di protesta che appaiono nelle città hanno bisogno di un soggetto federatore che proponga una analisi nuova, una cultura diversa, protagonisti inediti e guardi nel lungo periodo per non lasciarsi sedurre dal tatticismo senza principi che l’ha condotta alla rovina.
Michele Prospero
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