Centrosinistra, siamo
solo all’inizio
meglio non illudersi
“La sinistra italiana si ricompone nelle grandi città”, titola El País spiegando ai suoi lettori il nostro voto di domenica. E’ un titolo che indica bene la tendenza emersa dalle urne, ma che forse ha un tono eccessivamente ottimista. E’ vero, le elezioni sono andate bene per il Pd e per il centrosinistra che fino a qualche mese fa venivano dati quasi per spacciati di fronte all’”impetuosa avanzata” della destra a trazione leghista. Si conquistano al primo turno città importanti come Bologna, Milano e Napoli, si va al ballottaggio a Roma e a Torino, si vince nei due collegi dove si votava per le suppletive. Si torna a vedere un po’ di luce dopo un periodo in cui sembrava tutto in ombra. Sono fatti significativi, non c’è dubbio, che però non devono far credere che ora è tutto rose e fiori. Perché non è così. Perché il voto indica la strada da percorrere, ma siamo ai primi passi di un cammino ancora lungo.
Come è cambiato il clima politico
Da che cosa nasce il successo del centrosinistra? Nasce sicuramente da un mutamento di clima politico che non riguarda soltanto il nostro Paese ma tocca anche altri Paesi europei (vedi il voto tedesco con la vittoria della Spd) favorito da quella che potremmo definire la “riscoperta del sociale”. La pandemia ha cambiato le carte in tavola, ha rimesso in discussione vecchi paradigmi liberisti, ha spianato la strada a una visione meno egoista e più progressista del mondo. Tornano centrali i temi cari alla sinistra e ai partiti socialisti: uguaglianza, solidarietà, lavoro, welfare.
Il Pd e il centrosinistra, qui in Italia, hanno saputo intercettare questo mutamento facendosi interpreti di un nuovo modello di sviluppo basato su un sistema più egualitario e solidale. Enrico Letta ha capito bene tutto questo e ha portato il suo partito lontano dalle sirene centriste e neoliberiste che lo avevano ammaliato negli anni della sbornia renziana e ne ha fatto il maggiore sostenitore del Recovery Fund europeo.
In questo nuovo scenario il centrosinistra ha saputo giocare la sua partita in modo più dinamico. Letta ha cominciato a ridare centralità alla parola partito e dentro al partito all’idea di condivisione e comunità. La campagna elettorale che ha svolto personalmente nel collegio di Siena ha avuto un andamento diverso dal recente passato: molto meno “io” e molto più “noi”, una seria capacità di ascolto, un rapporto diretto con il territorio (strada per strada), un gioco di squadra che ha coinvolto moltissimi giovani e rianimato la passione della militanza. Meno social e più “socializzazione”, meno post e più posti in cui andare. Più persone da incontrare, più problemi da conoscere, più soluzioni da trovare. E’ lo stesso schema che hanno seguito tutti i candidati sindaco del centrosinistra anche perché il voto nelle città, più di altri, esprime più concretezza, più capacità di governo e meno teoria politica.
Il secondo fattore che può spiegare il successo del centrosinistra riguarda la concezione che si ha di se stessi. Di se stessi come partito, come alleanza. Sta emergendo l’idea di un partito non più autosufficiente, che basta a se stesso, che non ha bisogno di nessun altro, che si sente il centro del mondo e crede di avere l’aura della famosa vocazione maggioritaria. In questa occasione si è cercato, a volte bene a volte meno, di avere un’idea meno totalizzante di se stessi e si è fatto di tutto per allargare il campo della coalizione, di riunificare un centrosinistra tramortito e di farne una vera forza di governo in grado di contendere spazio politico alla destra populista e sovranista.
Si è capovolto il rapporto con il M5S
Questo lavoro di ampliamento non riguarda ovviamente solo il rapporto con il Movimento Cinque stelle che sembrava fino a qualche mese fa il problema dei problemi del centrosinistra. Riguarda tutte quelle forze che si sentono nel campo progressista e che, in modo più o meno radicale, pensano che vada ricostruita un’idea diversa di società. Da questo punto di vista il risultato elettorale ha cambiato il campo da gioco. Il M5S esce molto ridimensionato e perde quindi il diritto alla fascia di capitano che aveva prima e dovrà accontentarsi di essere uno degli interlocutori (forse il più importante ma sempre uno degli) per la costruzione di un nuovo centrosinistra. Come evolverà tutto questo dipenderà anche da come Giuseppe Conte si muoverà nei ballottaggi di Roma e di Torino. Seguirà la velenosa e supersconfitta Raggi per la quale destra e sinistra pari sono e quindi non darà alcuna indicazione di voto o farà, come è auspicabile, una netta scelta di campo?
Dobbiamo dire, per chiarezza, che questi mutamenti che abbiamo cercato di indicare non sono affatto compiuti. I processi di ristrutturazione dei campi politici sono solo all’inizio e non è scontata né la loro evoluzione né il loro approdo. Se e in che modo il Pd che è ancora, per dirla con Antonio Floridia, un “partito sbagliato” riuscirà ad “aggiustarsi” è tutto da vedere. Letta ha iniziato avvitando qualche bullone, ma il lavoro grosso è ancora da fare. Per questo è bene non sopravvalutare questo successo elettorale e pensare che ci si possa sedere sugli allori. La destra sovranista ha subìto un colpo duro sicuramente, ma sarebbe sbagliato darla per sconfitta. Anche in quel campo comincia un processo di ristrutturazione dopo l’”epopea salviniana” che non si sa dove porterà e quale federatore troverà. Ma in ogni caso la destra, soprattutto nel tessuto socio-politico del paese, è ancora viva, è ancora capace di mettere molto sangue in circolazione. Lo strappo compiuto da Salvini in queste ore sulla delega fiscale (con il plauso di Giorgia Meloni) e le tensioni che crea con Mario Draghi sono la dimostrazione che questa destra è ancora agguerrita e pericolosa.
La grande incognita dell’astensionismo
Bisogna stare con i piedi per terra anche per un altro motivo allarmante: l’astensionismo ha raggiunto livelli preoccupanti. Se un italiano su due resta a casa è un serio problema democratico, che attiene alle funzioni centrali del nostro sistema repubblicano. La diserzione dalle urne con queste percentuali rende fragile qualsiasi impegno di governo. Un sindaco votato da poco più di un quarto degli elettori vedrà minata la sua autorevolezza e la sua capacità di rappresentare tutta la città, c’è poco da girarci attorno.
Ma il centrosinistra deve porsi anche un altro interrogativo: chi c’è dentro quella vasta area astensionista? Quanti sono gli elettori di centrodestra delusi da molti candidati impresentabili che sono rimasti a casa? E quanti potranno tornare con la matita in mano per votare alle politiche? Quanti elettori di sinistra continuano a rimanere nascosti nel bosco, per usare una metafora di Bersani, in attesa di vederci più chiaro e di sapere dove andare? E come si riportano in marcia, con quali idee, con quali scelte?
Il centrosinistra forse ha cominciato a capire quale strada deve percorrere, ora dovrà capire come percorrerla, con quali compagni e con quali bagagli. I ballottaggi tra due settimane potranno fornire altri elementi di valutazione non indifferenti. Se si vince o no a Roma, per dirne una, non è per niente secondario e può cambiare persino il giudizio politico complessivo su questa tornata elettorale. La Capitale sarà la vera prova del fuoco anche del rapporto tra il centrosinistra e i Cinque stelle e quindi della possibile nuova alleanza progressista.
Insomma, la partita non è chiusa. Sarebbe meglio, molto meglio, non considerarla tale troppo in fretta sbagliando lo schema di gioco del secondo tempo ancora da iniziare.
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