Emergenza nazionale:
la sinistra è scomparsa
Siena, Pisa, Massa, Imola: il cuore rosso dell’Italia non c’è più. Cadono, una dopo l’altra, le roccaforti nelle quali la sinistra si era difesa nei periodi più bui della sua storia e che cementavano l’orgoglio del buongoverno e quello di una comunità sicura di se stessa. Il voto di ieri segna un brusco passaggio di scena. Un passaggio drammatico anche perché inaspettato in queste dimensioni. Travolge ogni certezza, butta all’aria decenni di storia, di battaglie, di passioni. Spezza il filo di una tradizione che nel tempo aveva resistito ad altri tremendi scossoni ma mai aveva subito una disfatta così clamorosa. Dal 4 marzo a oggi la mappa politica dell’Italia è cambiata completamente. Inutile appigliarsi – come fa qualcuno nel Pd – alle vittorie pur importanti di Ancona, di Fiumicino, di Velletri o del municipio di Roma strappato ai Cinque Stelle. Serve a poco annacquare la débacle, se non a proseguire nella difesa di una stagione politica che ha provocato il più grave disastro che la sinistra abbia mai subito nella storia repubblicana.
Non è tempo di cercare giustificazioni, piccoli escamotage per proteggere se stessi o i propri leader di riferimento. Non è tempo di continuare a pensare che siano gli elettori a non aver capito la grandezza di un progetto politico bocciato più volte. E’ tempo di fare i conti con la realtà, di capire che non basterà qualche cerotto qui e là per rianimare il Pd e il centrosinistra. E’ cambiata una fase storica, non è un passaggio momentaneo. L’Italia si è messa in linea con il vento della destra sovranista che soffia sul mondo e, peggio che in altre parti del mondo, qui da noi non ha avuto un punto di resistenza. Quello che c’era, la sinistra come la conoscevamo, ha ceduto e non c’è più. Di questo bisogna prendere atto.
Occorre il coraggio di fare un’analisi spietata degli errori commessi. Che sono errori degli ultimi cinque anni, non c’è dubbio, che hanno cambiato la fisionomia del Pd, hanno stravolto il suo Dna facendolo diventare una creatura irriconoscibile. Ma sono errori che hanno le loro radici nel passato, in una stagione lunga un ventennio nella quale la sinistra, dopo la fine del Pci, non ha mai saputo ritrovare se stessa. Sempre alla ricerca di un “oltre” che le desse la spinta propulsiva si è inchinata alla presunta modernità di un liberismo light dimenticando i valori per cui era nata: l’uguaglianza, la dignità del lavoro, la giustizia sociale, la democrazia, la difesa dei più deboli. Nata per parlare con il popolo, la sinistra è finita a discutere nei salotti dell’élite. Alla fine si è accorta, drammaticamente tardi, che il popolo non c’era più e che in fondo nemmeno lo conosceva più quel popolo perduto nella ricerca affannosa di una legittimazione presso i poteri economico-finanziari che le consentisse di far dimenticare il peccato originale di essere stata comunista.
Il voto di ieri è l’approdo finale di questo declino. Ma è, appunto, un approdo finale. Si è arrivati al capolinea, si deve scendere. E per poter ripartire occorre avere chiari tre elementi.
Il primo. La vittoria dei populisti non è un fatto passeggero. Loro purtroppo hanno vinto la battaglia per l’egemonia, la loro cultura è entrata nel senso comune degli italiani, si è annidata in pezzi significativi di quello che era l’elettorato di sinistra e lo ha conquistato. Hanno parlato alla pancia del popolo perché il popolo lo conoscevano bene e sapevano quali erano le sue paure e i suoi nervi scoperti. Sono stati populisti digitali ma anche territoriali, come si è visto dai ballottaggi di ieri. Questo nuovo potere di destra che si muove tra Trump, Putin e Orban, sia nella sua versione giallo-verde sia in quella verde-azzurra che probabilmente arriverà, sarà difficile da scalfire. Bisogna saperlo.
Il secondo. Non servono a niente le sante alleanze repubblicane contro il nemico alle porte. Le accozzaglie non hanno appeal nell’elettorato perché non hanno identità ma sono legate solo da un sentimento contro. Così come non lo hanno le coalizioni dell’ultimo minuto in difesa della città assediata. Si è visto come è finita a Siena, a Imola e a Pisa. Nonostante l’appello all’unità del centrosinistra l’elettorato è rimasto a casa o ha scelto altrove perché ha capito che non c’era niente di nuovo da scegliere a sinistra. Niente di nuovo in termini di idee e di uomini credibili.
Il terzo. Il centrosinistra come lo abbiamo conosciuto, in tutte le sue varianti degli ultimi venti anni, non esiste più. E’ morto, sepolto sotto le sue macerie. Non esiste più il Pd, quel partito riformista radicale e popolare immaginato alla sua fondazione e ora diventato un piccolo contenitore di piccoli leader in guerra tra loro. Ma non esiste nemmeno una sinistra alternativa credibile e robusta: quella che si doveva costruire ha avuto un modestissimo risultato alle politiche, è stata travolta dalla sconfitta di ieri e sembra presa, ormai da tre mesi, in un dibattito interno su quale partito fare o non fare.
Insomma, c’è un deserto a sinistra. Un deserto di pensiero, di uomini e di donne, di idee e di storie, di passioni e di battaglie. E’ questa la vera emergenza nazionale: la scomparsa della sinistra. Ricostruirla non sarà semplice. Ma per farlo bisogna sapere perché siamo qui. Senza infingimenti, senza scuse, senza clemenze. Ricostruire, questo c’è da fare: partendo dalle fondamenta, dal ferro e dal cemento di un nuovo partito che sappia capire il mondo nuovo e abbia di nuovo voglia di cambiarlo.
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