Castellina: “In Grecia
come in Italia, la sinistra
più che mai necessaria”
Quasi novant’anni, Luciana Castellina è una indomita combattente. Iscritta giovanissima al Pci, ha diretto a lungo il settimanale della Fgci, “Nuova Generazione”. Poi nella sezione femminile del Pci e nell’Udi. Radiata con il gruppo del manifesto, nel ’68, ha dato vita al Pdup con Vittorio Foa, viene eletta eletta alla Camera nel 76 con Democrazia proletaria e poi con il Pdup, nel ’79 entra per la prima volta nel Parlamento europeo.
Non si è fermata mai. Un libro da scrivere, un’iniziativa internazionale da sostenere, una campagna da avviare. Luciana Castellina è una combattente, appunto. Anche ora, candidata al Parlamento europeo da Syriza, ha fatto una campagna elettorale generosa, dalla Grecia all’Italia alla Germania, viaggiando in continuazione e senza risparmiarsi.
Come è cominciata questa nuova avventura, questa sfida?
“Perché ti stupisci? Non è un ritorno alla politica, non ho mai smesso di fare politica. E’ la continuazione di quel che ho cominciato a fare a diciassette anni. Perché in Grecia? Perché me l’hanno chiesto loro, i greci, e Alexis Tsipras. Forse è un segno di riconoscenza verso la sinistra italiana, tra i pochi a mobilitarsi in questi anni contro le orrende misure economiche imposte dai vertici europei alla Grecia. E poi ho un rapporto profondo con la Grecia, e lungo. Al tempo dei colonnelli mi arrestarono e mi espulsero, era il ’67. Ho seguito la campagna elettorale di Syriza e di Tsipras nel 2014 e penso che Tsipras abbia fatto una cosa molto coraggiosa anche se impopolare. Ha fatto un’operazione intelligente, ha cercato di ripartire i tagli in modo da colpire il meno possibile le classi deboli, e ora, risanato il Pil, si possono finalmente riattivare misure positive, l’occupazione, la tredicesima, il salario minimo”.
Eppure la polemica è stata forte, quando Syriza ha accettato di prendere misure penalizzanti.
“E’ facile speculare su quelle misure impopolari. La battaglia è stata dura. Ma se avesse seguito chi avrebbe preferito uscire dall’euro e dall’Europa la Grecia sarebbe isolata nel suo Egeo, la dracma non varrebbe nulla. Nessuno può più pensare di farcela da solo a dominare i poteri globali. L’Europa, invece, se riusciamo a cambiarla, è un potere collettivo che può giocare la partita. L’Europa è un terreno di lotta indispensabile”.
E ora, questa campagna elettorale…
“E’ stata molto interessante, ci sono segnali positivi. Sì, ho viaggiato molto, da Salonicco a Patrasso a Herákleion, dovunque trovando persone appassionate. Del resto Syriza è nata da una scissione dei comunisti greci, dalla parte che allora recise il suo legame con Mosca. Una strada parallela a quella del nostro Manifesto”.
Però qui in Italia, la sinistra? La sinistra c’è, ma nascosta. Come è possibile uscire dalla tentazione di frammentazione che anche a queste europee, pur davanti al pericolo autoritario e sovranista, ha prodotto una disgregazione che mette a rischio il raggiungimento del 4%?
“Non chiedere a me come far ripartire la sinistra. Tu, fai qualcosa per far ripartire la sinistra? Tutti dovremmo fare qualcosa. E’ finita l’epoca in cui c’erano le sedi, il partito di massa… Se sei una piccola formazione di sinistra non hai accesso alla stampa e alla comunicazione, tutto è difficilissimo. Repubblica sembra la Pravda. Anche per stare sui social ci vogliono soldi e fatica. Noi di sinistra siamo invisibili, eppure necessari. Solo un’affermazione della sinistra può fare uscire il paese da questi tempi pericolosi e infidi. In cui il Pd, che pure avrebbe l’occasione di giocare un ruolo, sembra un pachiderma addormentato, un giorno dice di essere di sinistra, l’altro che vuole fare politiche di destra”.
La concorrenza a sinistra c’è.
“Ma cosa dici? Non parlerai mica della cosa di Marco Rizzo? O dei radicali? Apprezzo Emma Bonino, ho lavorato bene con lei, ma i radicali con la sinistra non c’entrano affatto. Hanno contribuito all’abolizione del finanziamento ai partiti e ai giornali, sono liberisti. Li ho visti fare i picchetti davanti al Parlamento europeo per evitare che entrasse Arafat, o Mandela. Macché. In Italia siamo come in tutta l’Europa, c’è un partito socialdemocratico e c’è la sinistra. Tranne in Francia, dove il Partito socialista che aveva il 6% ha pensato bene di dividersi in tre. In Germania la Linke ha il 9%. La sinistra c’è in Svezia, Olanda, Danimarca e Belgio. In Italia, nel nostro campo, ci sono solo due scelte: o voti Pd, o voti Sinistra.
In questa campagna elettorale sono stata anche in Germania. A Heidelberg i compagni tedeschi sono convinti che molte responsabilità della sconfitta della socialdemocrazia siano state di Schroeder che ha consentito al taglio del welfare e a una riforma del lavoro tipo il job act. Il blocco socialpopolare, in Germania come in Italia, ha fatto scelte dissennate. Il Pd invece non ha il coraggio di ripensarsi criticamente. Dobbiamo buttare giù quella roba e fare il contrario, pensare a chi ha il futuro bloccato e poche speranze. Non siamo al fascismo, ancora. E’ la paura di gente che si sente abbandonata e piena di rancore. Per riconquistare questo campo bisogna fare una nuova politica. E battersi, sapendo che sarà lunga. Non saremmo l’alternativa, ma certo rappresentiamo il tentativo di rimettere sul binario giusto una battaglia. Abbiamo perso la società, dobbiamo riconquistarla. Altro che ossessione del governo: stare al governo non serve a niente se non si conquista la società. Insomma, bisognerebbe tornare a Gramsci”.
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