Caso Csm, la mediocrità
di Lotti e il giustizialismo
che infetta l’Italia
Le intercettazioni, relative ai colloqui tra Palamara e Lotti, contribuiscono a chiarire molte vicende della storia italiana più recente. Nella pochezza dei personaggi, svelata dal linguaggio così povero che adoperano, emerge qualcosa di più grande di loro.
La mediocrità di Lotti e dell’intero giglio magico era risaputa. I verbali confermano, a proposito della levatura dei rottamatori, cose in fondo ampiamente acclarate. In più le carte mostrano però la spregiudicatezza dei metodi con i quali gli esponenti di punta del comitato della piccola borghesia toscana hanno scalato dapprima i poteri locali, poi il Pd per accasarsi infine a Palazzo Chigi.
Disarmante mediocrità lessicale
Quello che più fa clamore, rispetto alle ardite manovre dei faccendieri e politicanti ruspanti cresciuti sull’Arno, è la piccolezza di un personaggio che è stato persino eletto presidente nazionale dell’associazione dei magistrati. Nella sua disarmante mediocrità lessicale, egli ha però il merito, sia pure involontario, di aprire squarci di luce sulla vicenda repubblicana.
La trascrizione di una frase pronunciata da Palamara a Lotti meriterebbe di essere riportata nei libri di storia per far capire le condizioni effettive dell’Italia contemporanea. «La vicenda Siri… fidate… Siri veniva arrestato in condizioni normali! De Vito è stato arrestato per molto meno! È una trattativa, che vogliono fare con Salvini, fidati… io non mi sbaglio». Uno dei soggetti costituenti della cosiddetta seconda repubblica è collegato al plusvalore politico del potere giudiziario, causa ed effetto dell’agonia del sistema dei partiti.
Ruolo ambiguo delle procure
Le parole di Palamara confermano il ruolo politico ambiguo delle procure con in mano una potenza di fuoco che nelle sue dinamiche sfugge a regole, procedure, limiti. Più che un contropotere, che opera nel senso di un efficace incastro delle funzioni dell’ordinamento, la magistratura appare come un potere discrezionale contrario, che contratta con i politici di turno posizioni, ruoli, margini di influenza.
La galera come minaccia o come misura immediata è uno degli strumenti con cui porzioni della magistratura conducono la “trattativa” con i governanti.
I danni del giustizialismo
In una fase storica assai difficile, in cui il potere politico è sempre più apertamente solleticato da istinti regressivi fortemente illiberali, la magistratura autonoma, e fedele solo alla costituzione, dovrebbe rappresentare uno degli argini più importanti rispetto all’appetito di governo che sogna con rosario e crocefisso di edificare democrature. E invece non è così, le toghe, in certe loro diramazioni, obbediscono a calcoli, pressioni, manovre.
Il giustizialismo, congiunto ad altre fratture storiche, ha abbattuto negli anni ’90 la politica, ha espresso giornali megafono delle procure, ha flirtato con non-partiti collegati alle invocazioni furbesche di onestà e di galera, ha imposto al nuovo sistema un linguaggio politico infantile. Un ex presidente dell’associazione nazionale dei magistrati conferma, con le sue losche dichiarazioni, l’opacità del potere italiano contemporaneo sorto dopo la grande frattura giudiziaria. Il giustizialismo ha innalzato l’incertezza del diritto a sistema. Ci vorrebbe una rinascita della politica, con la ricostruzione di partiti progettati come laboratori di conflitto sociale e democrazia che si riorganizza. Insomma un miracolo.
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