Casa e accesso allo studio, i giovani rilanciano i diritti costituzionali che la politica nega
Tende davanti alle Università in segno di protesta degli studenti contro il caro-affitti che, di fatto, riduce il diritto allo studio. Un po’ come per il cambiamento climatico, questa generazione di giovani oggi sente l’urgenza e la necessità di porre questioni drammatiche riguardanti il futuro loro e di noi tutti. Lo fanno con forme anche radicali, perché radicali sono i problemi che loro scontano sulla propria pelle. E anche nel caso delle tende, ci tocca assistere allo spettacolo squallido e indecente di una politica (degli anziani) che invece di prendere sul serio i problemi posti, si accapigliano su chi debba ricadere la colpa per lucrare politicamente e a breve termine sui problemi dei giovani.
Ora, la protesta delle tende pone due diversi problemi: il significato che ha oggi, diversamente dal recente passato, la casa e la previsione di rango costituzionale del diritto allo studio.La solidarietà agli studenti che possiamo e dobbiamo offrire è giusta e doverosa, ma rischia di alimentare un senso di frustrazione e impotenza se non prova anche a prendere spunto da questa occasione per riaprire nelle città e nel Paese un dibattito su quale sia il ruolo delle politiche abitative nelle più generali politiche di sviluppo economico e sociale territoriale.

Tra la metà dell’Ottocento e la Seconda Guerra Mondiale la casa era uno degli elementi su cui pubblico e privato erano disposti ad investire risorse come azione complementare degli investimenti su produzioni e servizi. La nascita dei villaggi operai, spesso per iniziativa dello stesso imprenditore, così come le abitazioni dedicate ai lavoratori di alcune categorie di servizi, come le case per ferrovieri erano anche funzionali al reclutamento di forza lavoro.
Dal secondo dopoguerra, il sostegno all’acquisto della casa di proprietà così come lo sviluppo dell’Edilizia Residenziale Pubblica, pur con fasi alterne, hanno avuto l’obiettivo di favorire il diritto all’abitare con fine redistributivo e miglioramento del benessere dei cittadini. La situazione che si sta prospettando adesso è esattamente opposta e non attiene solo alla dinamica di prezzo sul mercato immobiliare, ma al ruolo della casa, o per meglio dire della rendita nel determinare le possibilità di sviluppo di un territorio.
Quando il costo della casa diventa un impedimento per decidere di studiare in una città, o di accettare un impiego (magari anche stabile, mediante concorso pubblico) non si produce soltanto un’ingiustizia e la negazione di un diritto. Si sta anche ipotecando il futuro di quella città, che perderà la sua capacità di attrazione di studenti e lavoratori e dunque di persone che la possano vivere e frequentare quotidianamente, che possano sostenere una domanda di servizi che ne rafforzino la struttura produttiva e sociale.
Naturalmente non è solo o tanto un problema quantitativo, cioè della quantità di quanti appartamenti sono disponibili sul mercato, bensì di qualità. A Firenze, ad esempio, lo Student Hotel (multinazionale dell’immobiliare, apparentemente, per giovani studenti) dopo un intervento di riutilizzo di un grande immobile, sta riempiendo un vuoto urbano con tre nuovi fabbricati nella zona di viale Belfiore e un altro è in previsione. Ma, evidentemente, questa offerta non incontra una domanda di quanti sono “meritevoli ma privi di mezzi”, visti i costi proibitivi e affrontabili solo da studenti stranieri con un forte sostegno familiare alle spalle, che vengono a fare vacanze-studio nel Belpaese, in una città dove abbondano le università private straniere. Così, assistiamo al paradosso di un’offerta dimensionalmente significativa, che resta in buona parte inevasa anche perché non incontra la domanda che si dirige verso l’Università pubblica. Anche questo fa parte di un fenomeno crescente di una rendita che si alimenta di un mercato globale del lusso e dell’occasionalità. Il risultato è che le città si candidano a diventare prestigiosi non-luoghi, incapaci di investire su di sé e sul suo futuro.

L’altro tema, forte, posto dalle tende è quello dell’effettività del nostro dettato costituzionale. Che non riguarda soltanto l’art.34 commi 3 e 4, “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.. Articolo, come altri, nella pratica quotidiana ignorato, salvo porre l’enfasi retorica su l’uno contro l’altro dei termini cardine del testo, “merito” o “privi di mezzi”, su cui costruire la propria narrazione politica (fino ad arrivare al ridicolo di intestarsi il nome di un Ministero). Ma qui si è perso di vista il fulcro del testo, che è il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Costituzione dice che questo diritto deve essere reso effettivo dalla Repubblica, e per questo indica in modo puntuale gli strumenti (borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze) attraverso cui farlo e il modo (concorso). Questa è la responsabilità della Repubblica, ad ogni livello. Quella Repubblica che all’art.114 è composta da Stato, Regioni, Comuni, Province e Città Metropolitane, diremmo in concorso fra loro. La politica assolve a questo compito? Diremmo proprio di no, se pensiamo al tasso di scolastico, fra i più alti d’Europa. In Italia solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. I giovani fra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente il sistema di istruzione e formazione sono il 13,1% e solo il 27,8% dei giovani fra 30 e 34 anni sono laureati. Sono dati Istat del 2020. I quali ci dicono anche che la dispersione scolastica è fortemente condizionata dalle caratteristiche socio-economiche della famiglia di origine. Gli studenti che protestano ci parlano di questo: della profonda ingiustizia e diseguaglianza economica e sociale che condiziona il loro (e il nostro, come Paese) futuro. Allo stesso tempo denunciano l’incapacità della politica, di generazioni anziane disinteressate al futuro, di ottemperare a quello che la Costituzione li obbligava a fare. A partire dall’articolo 3: il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Non può esservi dubbio che l’art.34 è una delle cartine tornasole di questo imperativo civile contenuto nell’articolo 3.
Dunque, certamente il tema attiene alle città, ma in una dimensione che va oltre i loro confini, interrogando le istituzioni tutte sulla necessità di riprendere con forza e determinazione una riflessione sugli effetti perversi dello sviluppo e della diffusione della rendita quale elemento su cui impostare le nostre città. Come anche dell’attualità della nostra Costituzione, della funzione stessa delle istituzioni della Repubblica.
Esprimere sdegno per gli effetti di una mancata (da decenni) politica abitativa nel paese è doveroso, ma altrettanto doveroso dovrebbe essere riaprire un serio dibattito sull’accesso alla casa come parte di un progetto di sviluppo locale, di giustizia sociale e ambientale.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati
- 1
- 2