Caro Pd, nella battaglia
per l’egemonia ti serve
una voce come “l’Unità”

Non c’è pace nel PD. Nato con la ragionevole e coraggiosa ambizione di riunire in un partito di centro-sinistra le culture del riformismo sociale italiano al di là delle ideologie del ventesimo secolo, si è col tempo dimostrato un fragile contenitore di ambizioni individuali per il dominio della scena politica e mediatica. Il PD come mezzo per il successo di personaggi politici. Le primarie aperte per l’elezione del segretario e la destrutturazione del partito hanno fatto del PD un oggetto esclusivo di chi desidera e svolge funzioni istituzionali, locali e nazionali. Il PD si è in poco tempo trasformato in un partito istituzionale che vive di e grazie allo stato. L’anorresia degli iscritti ha decretato la mancanza di ossigeno rigererativo. Da luogo di discussione e formazione di cittadini e futuri leader politici a luogo di incardinamento di un establishment.

Eppure questo è a tutt’oggi l’unico partito; l’unica associazione politica che esprima un’idea di partito, ovvero una proposta politica di una parte per il governo del paese – e per l’opposizione legittima. Ed é forse, per questo, un pemanente avversario o una terra di conquista, soprattutto per coloro, come Matteo Renzi, che hanno una forma mentis antipartitica e cercano il plebiscito largo; che se ne sono andati per formare un loro gruppo parlamentare con il proposito di stabilizzarsi in un-quasi-partito mediante le elezioni.

Le elezioni regionali del prossimo settembre saranno molto importanti, sia per comprendere quanto capace sarà il PD di confermare la sua credibilità e forza rappresentativa, sia per verificare quante possibilità di realizzazione abbiano le ambizioni dei renziani. La lotta politica è e sarà intorno e sul PD.

Il fuoco incrociato dei renziani

La decisione di Italia Viva di presentare candidati suoi laddove le conviene (non in Toscana, per esempio) e quindi di decidere dei destini del centro-sinistra è delle più funeste per il PD. E che il PD sia il vero bersaglio lo si evince dal fuoco concentrico dei renziani fuori e dentro il partito. La fronda interna è forse la più preoccupante. Rappresenta una spina nel fianco che potrebbe decidere il destino di questo partito e di questo governo.

I rischi sono due, collegati: una frattura nel PD o la riconquista renziana del PD. Si sta giocando una battaglia di egemonia. Con quali strategie? La strategia retorica degli scalatori fa perno sull’uso polemico della categoria del populismo. Per i renziani sono tutti “populisti” tranne loro che sono “riformisti”. Il messaggio è chiaro: il centro solo è sano, mentre destra e sinistra sono patologie. Questa strategia è la pronipote di quel che negli anni settanta la Trilaterale ha identificato come “governabilità”. In poche parole, la democrazia è solo elezione; gli eletti sono i soli attori politici insieme con i media accreditati o professionali. Tutto il resto – i cittadini e loro associazioni, i movimenti di proposta e opposizione – è usato a discrezione, ovvero se torna comodo agli eletti. La famigerata proposta del taglio drastico dei parlamentari è come la ciliegina sulla torta di questa traiettoria establishmentaria che fa della politica un vero e proprio mestiere: democrazia istituzionale da un lato e il resto dei cittadini impegnati nei loro interessi privati e politicamente apatici. Democrazia dell’establishment – rispetto alla quale tutto il resto è populismo.

Una leadership coraggiosa

Che cosa oppone il PD a questa strategia controrifomatrice a tutto tondo, cruciale in un momento in cui la lotta sociale per l’uso delle risorse post Covid sarà spietata come il presidente di confindustria fa capire senza infingimenti? Il PD oppone buone parole ma nessun colpo di reni che sia capace di mettere gli scalatori di fronte a una parete rocciosa ardua.

Occorrerebbe una leadership coraggiosa e con una visione di collettivo politico, come un partito dovrebbe essere. E con la comprensione della gravità del problema – la gravità che si dimostra, per esempio, da questo fatto banale: la fazione “riformista” dispone non solo di stampa indipendente amica ma anche di suoi organi di informazione, cartacei e online; il PD non dispone di nulla, e la stampa indipendente ha poca simpatia per la sua dirigenza e per l’alleanza di governo. Perchè il segretario del PD non lancia una campagna di sottoscrizione popolare per far rinascere “l’Unità”? In moltissimi risponderebbero. Senza un giornale, senza una voce autonoma, un partito è giocoforza alla ricerca di accontentare chi tiene in mano la politica dell’audience. E poi, far rinascere la testata de ‘l’Unità” sarebbe un atto simbolico di grande forza rappresentativa. Come a dire “siamo qui”.