Ecco la lezione della Resistenza:
per cambiare il mondo bisogna esserci
Il comandante ci aveva dato l’ordine di pattugliare le strade, lasciando passare solo le persone che conoscevano la parola d’ordine. Io assunsi il controllo della zona che mi era stata assegnata, cercando di essere all’altezza della situazione. Quando oramai era buio, nella piazza grande vidi l’ombra di un uomo; chiesi la parola d’ordine e non ricevendo risposta gli puntai la rivoltella contro la schiena e lo portai a comando: una volta entrati, alla luce, mi accorsi – puoi immaginare con quale stato d’animo – che quell’uomo era mio padre, uscito di casa nonostante il coprifuoco per venirmi a cercare!
Per mesi il paese rise all’idea che mio padre, antifascista dichiarato, iscritto al Partito socialista, fosse stato arrestato nel primo giorno di Liberazione dalla propria figlia partigiana!

Zia, cosa ti ha insegnato la Resistenza? Cosa vorresti oggi trasmettere ai giovani che hanno l’età che avevi tu quando eri la partigiana Gabriella?
La scoperta più grande fatta in quei mesi di lotta durante la guerra è stata l’importanza della partecipazione: per cambiare il mondo bisognava esserci. Questo è stato il motivo che mi ha fatto abbracciare l’impegno politico: la convinzione che esserci è una parte costitutiva della democrazia, senza partecipazione non c’è democrazia e il Paese potrebbe andare nuovamente allo sbando. Ecco il motivo per cui non dobbiamo tradire la Resistenza, dobbiamo conoscerla e non tradire i valori su cui si è fondata questa pagina della nostra storia e dobbiamo essere presenti come lo eravamo ieri. È con questo spirito che, una volta finita la lotta di Liberazione, molti di noi hanno scelto di contribuire con un impegno civile alla rinascita del nostro Paese.
C’è una lettera, tra quelle dei condannati a morte della Resistenza, di Giacomo Ulivi, nella quale questo partigiano scrive rivolgendosi ai compagni di lotta:
E se ragioniamo, il nostro interesse e quello della cosa pubblica, insomma, finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri. Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile.
Questo concetto deve essere espresso attraverso la democrazia, o meglio nella democrazia attraverso i suoi strumenti, che sono le istituzioni e l’organizzazione dello Stato. C’è nella politica, se si crede nei valori su cui la democrazia si fonda.
In Italia bisogna riorganizzare la partecipazione attraverso gli strumenti della democrazia: la democrazia per essere vissuta appieno necessita di essere partecipata. Esiste il problema reale di come organizzare le istituzioni, lo Stato, la vita sociale, la libertà. Perché la democrazia sia vissuta c’è bisogno di avere fiducia negli uomini. Tutte le dittature si caratterizzano per il disprezzo nei confronti dell’uomo, la democrazia deve essere costruita, al contrario, sulla fiducia degli uomini. La democrazia non può che appellarsi a tutti i cittadini perché veramente tutti possano partecipare e in ciò si cela forse il passaggio più impegnativo: se tu vuoi partecipare devi anche garantire la partecipazione degli altri.

Zia, c’erano molte donne nella Resistenza?
Le donne nella guerra partigiana sono state fondamentali. Lo dicono non solo gli storici, ma anche i militari che sono vissuti accanto a queste donne. Allora io dico convintamente che la qualità della politica sarebbe migliore se ci fossero più donne accanto agli uomini a gestire i problemi del Paese.
La scoperta che abbiamo fatto combattendo era proprio questa: se non si fosse combattuto e se non si fosse vinta la guerra il nostro Paese sarebbe stato succube e amministrato dai nazisti. Abbiamo affermato questo valore della pace che si coglie leggendo le lettere dei condannati a morte, non c’è l’odio, non c’è una volontà di vendetta, di rivalsa. Quando noi abbiamo combattuto con le forze partigiane abbiamo combattuto per conquistare la pace. Di eccidi ne abbiamo avuti anche noi, anche qui nella zona, come quello dei 140 ragazzi uccisi per una strada di campagna, abbiamo avuto anche noi pagine di sangue nel Monte Grappa dove si era organizzata la Resistenza, abbiamo pagato anche noi, però abbiamo pagato avendo la consapevolezza che il prezzo di quei giorni ci avrebbe riscattato come forza e anche come classe dirigente.
Dobbiamo non perdere la memoria di quello che è avvenuto, di quello che abbiamo pagato perché la storia si ripete, non c’è niente e nessuno che ci possa salvare quel giorno in cui noi questa storia la tradissimo proprio nella memoria.
I giovani devono sapere il prezzo che abbiamo pagato con la vita e con le torture, con le tragedie che si sono abbattute nelle nostre famiglie, nei nostri paesi. Non dimenticare, ma fare della memoria l’arma, un’arma pacifica che ci permette di non ripetere gli errori che hanno portato al fascismo. Abbiamo bisogno che la cultura sia al servizio della verità, una verità che oggi, a sessant’anni dalla fine della guerra, conosce tentativi di mistificazione, tentativi di contrabbandare qualche cosa che non è parte del nostro patrimonio. E dunque auguriamo a tutti i resistenti di allora di essere capaci di fare questo servizio anche per l’Italia di domani.
Quando vado a parlare nelle scuole molte volte i ragazzi mi dicono: ma perché non ci hanno spiegato prima queste cose? Non deve più avvenire che un giovane ci rimproveri perché non abbiamo detto tutto quello che sapevamo. Quando è terminata la guerra, la prima domanda che ci siamo posti, noi combattenti per la libertà, è stata: Ora che cosa possiamo fare per non essere privati di una libertà che abbiamo appena conquistato? La risposta è stata: partecipazione alla ricostruzione del Paese. Perché avevamo la sensazione che tutti potessimo giocare un ruolo importante.
Quando più tardi John F. Kennedy, il Presidente degli Stati Uniti d’America, ci ricevette alla Casa Bianca, ci disse: “È veramente democratico quel Paese in cui nessun cittadino si sente inutile, perché nessun cittadino è lasciato inutilizzato”. Questa è l’anima della democrazia, dalla quale devono nascere le istituzioni, l’organizzazione dello Stato, l’organizzazione di un sistema di libertà che dia fiducia al cittadino, in modo che non si senta inutilizzato e pensi di non dover fare nulla perché tanto non sarebbe ascoltato.
Nella nostra incoscienza io e i miei compagni abbiamo accettato una sfida, abbiamo vissuto un’esperienza drammatica, in un momento in cui era necessario schierarti e decidere da che parte stare. Siamo stati per certi aspetti fortunati, perché la storia ci aveva costretti a decidere guardando la verità in faccia. Ed io capisco che oggi per i giovani sia assai più difficile prendere una strada che non sia superficiale e di comodo.
Il testo che pubblichiamo è tratto dal libro
Tina Anselmi
“La Gabriella in bicicletta. La mia resistenza raccontata ai ragazzi”
edito da Manni Editori.
Il volume, con una introduzione di Laura Boldrini, è un’intervista immaginaria di una nipote alla partigiana Anselmi che ha combattuto il fascismo con il nome di battaglia di Gabriella.
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