La Pecora elettrica, una libreria che “non sarà
mai italiana”
Stiamo forse parlando di una libreria che vende libri in una lingua diversa dall’italiano? Apparentemente, sì. Perché ormai l’italiano non è una lingua parlata dal popolo italiano ma soltanto da chi spartisce una ben determinata ideologia che vuole: prima l’italiano!
E potremmo riprendere le parole di Primo Levi senza voler equiparare l’accaduto dell’incendio della libreria di Centocelle con il contesto per cui Levi scrisse queste parole, che fu l’inaugurazione del Memoriale degli Italiani ad Auschwitz (altra pagina dolorosa e controversa e in cui la parola italiani gioca un ruolo importante):
[…]la storia di questo luogo, non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere di Lavoro nell’Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto. È vecchia sapienza, e già così aveva ammonito Enrico Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini…[…]
Chi brucia libri
Già perché anche la storia di quel luogo che è la libreria La pecora elettrica è costellata di incendi: il primo avvenuto il 25 aprile di un anno fa, il secondo che ne impedisce di fatto la riapertura, dopo la ricostruzione, è di pochi giorni fa.
Pensando che è di una libreria che si tratta, dobbiamo immaginare che sia composta di tanti libri, di tanti autori e di tante tematiche. Là dentro, in quella libreria c’erano libri di ricchi, dalle tirature e dalle cifre da capogiro, ma anche molti libricini stampati da piccole case editrici con grossi sacrifici degli autori e degli editori, e tantissimi libri piccini, libri bambini, appena nati e stampati che potevano crescere e avere un futuro, e tutte queste vite libresche erano scritte in italiano.
Quale italiano
Non sappiamo se il linguaggio parlato da quei libri sia stato in “puro italiano”, un italiano non bastardo, non meticcio, non deformato da accenti di dialetti, di inglesismi, di francesismi, spagnoleggiante o pieno di arabeschi (e allora dobbiamo anche chiederci di quale italiano stiamo parlando perché l’italiano che parliamo è composto di tutto ciò), oppure di un italiano che si spaccia solo per italiano, che ha avuto lo jus della stampa ma non lo jus dello spirito o lo jus del colore e per cui non potrà mai essere italiano.
Però è sempre di italiano che stiamo parlando e potremmo esserne sicuri “leggendo” cosa resta del rogo. Così come accade quando si mettono delle bombe che fanno delle vittime, i cui resti di carne e sangue si devono cercare e ricomporre per dare un nome ai corpi e capire la dinamica dell’attentato. Perché così come in un attentato, e di questo si tratta nel bruciare la libreria, si spara nel mucchio cercando di fare più vittime possibile. E di bombe in Italia negli anni passati ne sono esplose molte.
Gli incendi di Centocelle
Resta da capire, fra le svariate ipotesi di chi abbia commesso il fatto – quello contro Pecora elettrica ma anche quello che ha colpito il Baraka Bistrot che aveva espresso solidarietà alla libreria incendiata -, se sia stato il narcotraffico presente nella zona oppure se la matrice è politica come sembra più plausibile da alcuni dati.
Resta comunque il fatto che quella libreria antifascista non ha da esistere e che quella inaugurazione non s’ha da fare.
Sono probabilmente due realtà, che vorrebbero costringere i romani ad essere soltanto dei consumatori di droga (è sempre di pochi giorni la drammatica denuncia in un solo ospedale romano delle nascita di quattro neonati che non piangevano insistentemente per il latte ma perché già in crisi di astinenza da cocaina) o soltanto dei lettori di un certo italiano, per poter poi parlare un solo italiano e diffondere un solo italiano, a discapito di quanti, pur scrivendo in italiano, vivendo in Italia con la cittadinanza, italiani non saranno mai.
Le parole di Primo Levi
E per tornare ancora a Primo Levi con il suo invito alla vigilanza:
[…]Non era mai successo, neppure nei secoli più oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che è stato civile, e che civile è ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo. In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si è toccato il fondo delle barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.
Dopo queste parole, il resto è silenzio direbbe Shakespeare. Delle istituzioni!
Sull’incendio alla Pecora elettrica leggi anche Jolanda Bufalini (qui)
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