Bottero, cercare se stessi nei versi camminando nel buio
«Scrivevo silenzi, notti, notavo l’inesprimibile, fissavo vertigini», pensavo a questa frase di Arthur Rimbaud mentre leggevo la nuova raccolta del poeta Stefano Bottero ʻʻNotturno formaleʼʼ da poco pubblicata da Industria&Letteratura; opera che segue la raccolta ʻʻPoesie di ieriʼʼ (2019) e la silloge ʻʻOgni cosa sta per finireʼʼ (2022). Ci sono scrittori la cui opera sembra consistere nella capacità di far affiorare ciò che altrimenti resterebbe al buio, invisibile o trascurabile, inespresso. Bottero è uno di questi, capace di arrivare a un’eccezionale intensificazione percettiva, tale per cui alla notte, ai pensieri che l’attraversano, agli oggetti immersi nell’oscurità, riesce a dare una forma poetica.

Non a caso, una delle prime percezioni che si hanno, leggendo i versi che compongono questa raccolta, è quella di camminare nel buio, di provare a tastare ciò che arreda una stanza, delinearne la forma, inoltrarsi nei rimandi mentali a cui l’imprecisione ci spinge: «resti nel muro e non in bocca – a chiudermi / le labbra / oggetti di vita quotidiana».
Ed è proprio da questi rimandi che Bottero fa scaturire un gioco di analogie inconsce in cui Es e Super-io, costantemente, vengono portati alle estreme conseguenze.
l’alcol prende il posto della cena.
abituarsi agli analgesici
sparire – nei minuti di ritardo annunciato
come icone
preda facile
sulla milza il peso dell’autolesione.
La notte è l’oscurità in cui inoltrarsi e in cui avviare un dialogo con sé stessi e con gli altri. Siamo lontani dalla dimensione del sogno, persino del dormiveglia, al contrario, tutto in Bottero è lucidamente netto e tagliente, tattile: il sesso, il corpo, lo sguardo, il respiro. Il dialogo che questo poeta fa emergere dal silenzio della notte racconta l’ansia vuota delle commissioni quotidiane, il bisogno di autoeliminarsi, di ridursi per esistere meno di fronte alla vita del giorno con le sue incombenze, le sue schizofrenie, le sue aspettative.
Contro il caos che esiste fuori, questa scrittura tramata di versi come frammenti, balzi nel vuoto, fa emergere una nettezza quasi violenta di contorni, una forma stratificata, dove ogni termine accumula più significati, dove il verso finale dichiara, depone lampi di luce che illuminano ciò che è notturno. I testi, apparentemente sconnessi, frammentati della raccolta sono guidati con razionalità da un Io lirico che confessa la propria volontà di nascondersi, disperdersi, scomparire di fronte all’agire del mondo. Ad accompagnare la silloge, infatti, vi sono cinque fotografie di Nerina Toci, in cui non a caso è il corpo esposto, il corpo solo, abbandonato, passivo a diventare oggetto per eccellenza. L’onestà di questo poeta sta tutta nel denunciare senza infingimenti questa umana fragilità.
re: termini.
oggetti al loro posto.
diminuire – i reni non ti ascoltano. tagli sulle dita rivolgersi ancora
[all’alcol come ragione verbale
per comprendere
non adesso.
parola che nega sé stessa – lavatrici. preghiera.
Notturno formale.
Stefano Bottero
Notturno formale
Edizioni Industria&Letteratura
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