Bonaccini punta sugli amministratori, ma un nuovo “governismo” può salvare il Pd?

Il “partito degli amministratori” del Pd non è un’invenzione, esiste ed è schierato quasi al completo con Stefano Bonaccini.

Ha la “erre” arrotata di Alice Parma, 35enne sindaca di Santarcangelo di Romagna al secondo mandato, che martedì sera (24 gennaio) a Rimini conduceva la serata organizzata con il candidato segretario; ha l’eloquio pacato di Jamil Sadegholvaad, il sindaco di Rimini dal cognome più impossibile di quello di Elly Schlein; ha l’esuberanza di Andrea Gnassi che a Rimini, città a netta maggioranza di destra, ha governato incontrastato per 10 anni per poi passare il testimone al suo assessore di punta, Jamil appunto, e nelle scorse settimane al Senato aveva fatto precipitare sull’orlo di una crisi di nervi il governo con il famoso emendamento da 450 milioni nella legge di bilancio a favore dei Comuni; ha la concretezza di Mattia Morolli, che nella frazione di Viserba dove è cresciuto, conosce tutto e tutti e fa il pieno di voti.

È questo il partito “che sa entrare in un bar e parlare a viso aperto con le persone” che vorrebbe ovunque in Italia il candidato segretario nonché presidente della Regione Emilia-Romagna. Il “governismo diffuso” corre sulle gambe degli amministratori locali Pd e quasi pare che aspetti la consacrazione a linea politica.

L’aspirante segretario interviene – c’è bisogno di dirlo? – in un bar. Il locale è troppo piccolo per contenere i suoi supporter in una provincia dove, probabilmente, la concorrenza di Elly Schlein si farà sentire non fosse altro perché ha il sostegno di Emma Petitti, la presidente dell’Assemblea legislativa regionale capace di mobilitare consenso come nessun altro, e di Maurizio Melucci, ex vice sindaco di Rimini ed ex assessore regionale al Turismo, ora acuto osservatore e commentatore della vita politica.

Stefano Bonaccini a Rimini
Stefano Bonaccini nel ristopub “Fermata Est” di Rimini

Il Pd deve saper parlare in un bar

Bonaccini arriva da un impegnativo giro in Sicilia e si dichiara “piuttosto cotto”. Per mettere in fila i suoi ragionamenti inizia dal tema dell’autonomia differenziata e nega di essere mai stato d’accordo con la soluzione a favore delle regioni ricche che vorrebbe la Lega. Non è la prima volta che lo dice da quando è in corsa per la segreteria, repetita iuvant per il bar. E comunque, si sappia, che lui è il più meridionale dei 4 candidati perché Elly è nata in Svizzera, Cuperlo è di Trieste e la Campogalliano di Bonaccini è più a sud di Piacenza, città di Paola De Micheli. Narrazione ben studiata, per il bar. Ma se fosse un post avrebbe attenzione e like anche sui social, dove il “clima politico” forse si costruisce con pari o più efficacia che nei bar?

L’aspirante segretario, quello al momento più accreditato per la vittoria, quando parla sottolinea spesso con “è vero o no?” o anche solo con “eh?, eh?” le sue frasi, quasi a cercare il consenso del pubblico del bar. L’intercalare gli regala attenzione e coinvolgimento, chi lo ascolta si sente chiamato a partecipare.

Conosco Bonaccini da quando divenne segretario regionale del Pd, una quindicina d’anni fa, e a quei tempi non mi ero accorto di questa sua particolarità oratoria, forse è stata introdotta contestualmente col cambio di look (la barba, i famosi occhiali a goccia, l’abbigliamento generalmente informale) o forse ricordo male io. Comunque, intercalari a parte, la pragmaticità di Bonaccini viene fuori subito: attenzione perché il Pd potrebbe diventare irrilevante “come è successo ai socialisti francesi” fallendo la sua aspirazione ad essere baricentro e soggetto unificatore delle differenti culture progressiste, cita Benigno Zaccagnini, Aldo Moro, Tina Anselmi sulla cui tomba a Castelfranco Veneto si è recato alcuni giorni fa a portare fiori. Quanto a lui si dichiara figlio di comunisti, che in Emilia è come dire figlio del popolo comunista, “e non ho niente di cui vergognarmi”.

Se diventerà segretario al suo partito chiederà di spogliarsi dall’aria saccente che ha visto dipinta sul volto di troppi dirigenti, di fare un bagno d’umiltà, di dismettere ogni atteggiamento di superiorità morale. Più prosaicamente aggiunge: “Togliamoci la puzza da sotto il naso”. E ripete, come un tormentone, “voglio una classe dirigente nazionale che sappia entrare in un bar non per dare ragione a tutti ma consapevole che se lo fai poi si ricorderanno di te”. Lui, a Campogalliano, ha sempre fatto e continua a fare così. La metafora del bar non è l’unica, e quello che parla sembra un Bonaccini quasi “bersanizzato”: “Meloni? Aveva poche risorse ma con la finanziaria ha scelto di mettere la coperta su chi stava già al caldo”, “Basta un minuto di chiacchiere per capire se hai di fronte un interlocutore di destra, per capire quelli del Pd ci vuole mezz’ora”.

Mai più un dirigente nel proporzionale sicuro

Bonaccini dipinge un Pd malmesso: “L’ho scoperto in questi giorni, il tesseramento per molti è accessibile solo on line perché le federazioni hanno una quota limitata di tessere. E ho pure scoperto che più o meno la metà delle federazioni è commissariata”. C’è tanto lavoro da fare e Bonaccini promette che se diventerà segretario “non succederà più che un dirigente nazionale non si candidi nei collegi uninominali e pretenda di entrare nella sicura quota proporzionale, troppo comodo. È vero o no?”. Ovvio che in questo partito terremotato è inutile chiedersi se il nome Pd va bene: “Se iniziamo questa discussione sprechiamo tempo sulla forma senza andare alla sostanza e non porteremo argomenti ai gazebo”. Nome a parte, lui vorrebbe un Pd percepito “come un grande partito laburista”.

Elementi di programma? Un deciso sì al reddito di cittadinanza, lotta senza quartiere alla precarietà sul lavoro, consapevolezza che la società va ringiovanita perché l’attuale curva demografica “ci condanna all’oblio”, un modello di sanità pubblica efficiente come è quello dell’Emilia-Romagna che pure deve scontare parecchie criticità dovute alla enorme carenza di infermieri e medici risolvibile solo con un aumento degli stipendi dei primi e con il superamento del numero chiuso nelle facoltà di medicina. Promette che mai e poi mai la “sua” sanità imiterà quella privata lombarda.

Finale sui temi ambientali ed energetici, in una città turistica molto energivora eppure parecchio perplessa su un grande impianto eolico in mare. Mica come a Ravenna, pronta ad accogliere il rigassificatore le cui procedure affidate dal governo a Bonaccini in qualità di commissario sono “state completate dalla conferenza dei servizi in 120 giorni quando con procedura ordinaria di norma si impiegano dai cinque ai dieci anni”. E a proposito di anni sono oramai dieci quelli che sono trascorsi dal terremoto in Emilia e la ricostruzione, sotto la guida commissariale anche di Bonaccini, è arrivata al 95%. Non si può dire nel bar ma in fondo in fondo un po’ di superiorità gli emiliano-romagnoli ce l’hanno. È vero o no?