Bene la vittoria in UE,
ma urge un soggetto politico
che stabilizzi la maggioranza
La battaglia al confine è faticosamente vinta. Ora si (ri)apre quella interna. Ma, si sarebbe chiesto uno che ne capiva, quante “divisioni” possiamo mettere in campo?
Una pioggia di miliardi. Ma per chi?
Contro le fosche previsioni dettate sì da una situazione complessa, ma rilanciate con gusto da tanti interessati, il Governo torna dall’Europa con una pioggia di miliardi. Lo scontro che ha contrapposto non morigerati che chiedevano controlli e terroni che vogliono solo gozzovigliare, ma chi richiede una gestione pienamente europea, collettiva (poiché le verifiche sul come vengono spesi i fondi europei sono già presenti e stringenti), e chi invece pretendeva di restare alla dimensione intergovernativa, ha visto vincitori coloro che chiedono all’Europa di fare un coraggioso passo in avanti.
Adesso il Governo ha davanti a sé la partita dell’utilizzo di questi fondi: una sfida non molto più facile di quella europea, siccome già è forte la voce di chi, dai Presidenti di Regione del Nord a chi rappresenta i più ricchi del Paese, chiede interventi a fondo perduto per chi già ha, tacciando di assistenzialismo ogni intervento per chi è più in difficoltà.
La domanda che è lecito farsi, ora, è se non solo il Governo, quanto questa maggioranza o, guardando in modo più approfondito, la presente configurazione del campo politico abbia la forza di reggere la tensione che, inevitabilmente, si accumulerà nel corso del complesso autunno che si prospetta, e più avanti ancora.
I nodi della maggioranza
È abbastanza evidente, infatti, che molti dei nodi accumulatisi nel campo della maggioranza siano ancora presenti. Da un lato nel Movimento 5 Stelle, che fatica a imboccare la strada obbligata dell’alleanza strutturale con il centrosinistra di cui ha scritto proprio oggi Pietro Spataro. Dall’altro, nel campo del centrosinistra, che vive ancora di pulsioni contrapposte e disorganizzate.
La fuoriuscita di Italia Viva non sembra infatti aver portato a una stabilizzazione nell’orientamento del Partito Democratico, in cui continuano a coabitare aree di tradizione socialdemocratica con pezzi che guardano invece al centro, o addirittura a un accordo con Berlusconi. Specularmente, il campo della sinistra continua ad essere frastagliato in una moltitudine di sigle; è notizia recente la programmazione di un’assemblea per un nuovo tentativo di aggregazione, ma visti gli esiti passati è ragionevole avere delle perplessità sulla sua riuscita.
Il più grande impedimento per tutta l’area del centro-sinistra (con il trattino) è l’insufficienza dell’analisi economico-politica, ferma ancora al 2001 o, tutt’al più, alla grande crisi del 2008. Qualcosa, a causa della pandemia, ha iniziato a muoversi, perlomeno con la caduta dei dogmi liberisti sulla superiorità del mercato sullo Stato, ma il mondo continua a cambiare molto più velocemente di quanto la riflessione politica riesca a consolidarsi. In questo, i problemi sono interconnessi: un’analisi adeguata può essere condotta solo da una soggettività politica sì larga e articolata, ma che stia chiaramente all’interno di una determinata cultura politica.
Un nuovo soggetto politico
Articolo Uno ha più volte rilanciato la necessità di addivenire a una riconfigurazione del campo politico della sinistra; l’impellenza di questo processo è evidente, e nessun momento sembra più propizio di quello attuale. Grazie al risultato della contrattazione europea, infatti, l’attuale maggioranza può realmente pensare di arrivare a fine legislatura; dovranno però essere prese decisioni ineludibili in merito al futuro del Paese: le iniziative che verranno individuate nei prossimi mesi determineranno il modello di sviluppo dell’Italia per chissà quanti anni a venire.
Proprio per questo è necessario costruire un nuovo soggetto politico, che interpreti saldamente la cultura socialista e democratica e che si faccia carico di interrogarsi sui mutamenti del presente, traducendoli in azione politica. Solo una soggettività simile può stabilizzare la maggioranza e instradare il dibattito politico nella direzione più opportuna; se questo non ci sarà, è alto il rischio che nessuno sia in grado di individuare correttamente l’orizzonte di sviluppo dell’Italia, e che nonostante i miliardi europei la risposta alla crisi del Covid-19 si riveli drammaticamente inefficace, conducendo in maniera inevitabile al definitivo declino del nostro Paese.
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