Ma se il Pd desse un appoggio esterno?
Ho partecipato alla direzione nazionale del Partito Democratico e devo dire che il segretario Zingaretti è riuscito a tessere argomentazioni convincenti, usando il tono giusto e prospettando una visione organica delle questioni che abbiamo davanti e della posta in gioco. Lo ha fatto senza tatticismi e ragioni di parte ma parlando in rappresentanza del popolo democratico e dando voce alla sinistra italiana.
L’interesse nazionale non può essere un alibi
Colpisce invece per contrasto la superficialità e la rapidità con cui i commentatori politici riducono all’osso il suo discorso, trasferendo tutta la complessità del caso nelle sofisticherie dei retroscena e nella spettacolarizzazione dei contrasti psicologici. Zingaretti ha posto delle condizioni preliminari per far partire il dialogo con le altre forze politiche, anticipando con fermezza quello che il Partito Democratico comunicherà al capo dello Stato durante le consultazioni. Personalmente ribadisco che un accordo con i Cinque stelle, senza passare dal voto delle elezioni politiche, sarebbe un errore; l’interesse nazionale non può essere un alibi per evitare di dare la parola al popolo.
Come ha evidenziato più volte Emanuele Macaluso, nella circostanza in cui ci troviamo questo avrebbe l’effetto di moltiplicare la frattura tra popolo ed istituzioni dando alla destra estrema il carburante delle piazze, della demagogia e della propaganda antipolitica. Il governo per il governo, slegato dal consenso e da una battaglia quotidiana nella società, non solo agli occhi dell’opinione pubblica, potrebbe essere interpretato come trasformismo, ma sarebbe per la sinistra la riproposizione del “governismo”, della convinzione che la politica esista solo come arte del governo e della gestione del potere istituzionale.
Serve una netta discontinuità nelle persone e nei programmi
Quanto al trasformismo bisogna dire che Zingaretti ha chiarito con molta nettezza che non è il suo orizzonte, che non appartiene alla pratica parlamentare del Partito democratico e alla sua cultura politica. Per evitare anche la seconda insidia, quella del governismo bisognerebbe a mio parere insistere su due punti.
Il primo. Dai Cinque Stelle bisogna pretendere la discontinuità netta nelle persone e nei programmi, l’autocritica profonda dell’azione di governo condotta con la Lega, ma non come enunciazione, ma come impegno solenne per cancellare in Parlamento le leggi illiberali come i decreti sicurezza e la legittima difesa. Leggi che invece Conte, nel suo discorso di ieri al Senato ha difeso con orgoglio. Per questo occorre un nuovo gruppo dirigente. Questo è un lato della medaglia a cui non si può rinunciare. Al pari del riconoscimento del primato della democrazia rappresentativa e dell’impegno a risanare il bilancio dello stato a partire dalla manovra finanziaria. Il “primum vivere” di larga parte del ceto parlamentare sarebbe invece un male corrosivo e letale.
Quanto al secondo punto bisogna invece seguire il consiglio di Gad Lerner consegnato alle colonne di Repubblica. Mettersi a dieta rispetto ai posti, ai ministeri e alle nomine. Partecipare a un governo col massimo senso di responsabilità, stando fuori dall’esecutivo, con un appoggio esterno. Nel contesto attuale queste sarebbero le condizioni senza le quali è impossibile procedere. Solo così saremmo in grado di evitare l’aumento dell’Iva e affrontare la congiuntura economica sfavorevole; ma avendo tempo di spiegare con trasparenza ai cittadini e agli elettori ogni passaggio e non lasciando le piazze e le masse alla destra estrema e illiberale di Salvini. Se questo non fosse possibile non resterebbe che andare al voto nel rispetto delle istituzioni e del popolo italiano.
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