Bellini, ritratto di stragista tra fascisti, ‘ndrangheta e servizi deviati
Per farne un ritratto che approssimi la realtà – ovviamente, per difetto – occorrerebbe un bravo pittore cubista. Solo così sarebbe possibile rendere al meglio le strane geometrie che compongono la figura di Paolo Bellini, il quinto uomo della strage di Bologna. Personaggio in contatto con Cosa Nostra e ‘ndrangheta, legato ai nostri apparati di sicurezza, militante di Avanguardia Nazionale, organizzazione eversiva. Mercoledì scorso, la Corte d’Assise ha aggiunto il suo ergastolo a quelli di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, e ai trent’anni inflitti a Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dell’attentato. Un filmato, recuperato dal pool di avvocati di parte civile guidati da Andrea Speranzoni, inchioda l’ex primula nera. La sofferta testimonianza dell’ex moglie non gli lascia scampo: il 2 agosto 1980, Paolo Bellini era alla stazione di Bologna. Insieme a lui, c’era anche Sergio Picciafuoco, morto l’11 marzo scorso, militante di Terza Posizione che viaggiava con documenti e nomi falsi verosimilmente procuratigli da ufficiali infedeli dei servizi segreti. “Noi sosteniamo che Picciafuoco è colpevole”, ha detto il sostituto procuratore generale Umberto Palma, che insieme al Pg Alberto Candi e al collega Nicola Proto ha prima avocato e poi condotto in porto un’indagine che schiude porte mai aperte nel corso di decenni.
Bellini e l’opera corale dell’estrema destra
Ci sono voluti quarantadue anni per avere un quadro più completo, che mette a fuoco gli esecutori del più grave attentato italiano (85 morti, 200 feriti) e i loro finanziatori; i flussi di denaro provenienti dalle casse del Banco Ambrosiano, martirizzate dalla P2, e i loro destinatari. Militanti di Avanguardia Nazionale come Bellini, titolare di conti in Svizzera, sedicenti spontaneisti come Mambro e Fioravanti, un personaggio come Cavallini, anche lui frequentatore di banche elvetiche (ora in attesa del processo d’appello), con un piede nei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), presunta cellula impazzita della galassia nera, e l’altro in Ordine Nuovo, il prezzemolo di ogni strage, a partire da quella del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura. Una vera ammiraglia eversiva, insieme ad Avanguardia Nazionale.
Verosimilmente, se fossero ancora vivi, sarebbero stati condannati, come ispiratori-finanziatori della strage, Licio Gelli e Umberto Ortolani, i burattinai della P2; l’ex capo dell’Ufficio affari riservati, Federico Umberto D’Amato, che nel suo studio ospitava spesso e volentieri Stefano Delle Chiaie, capo di Av.n e di Bellini, e aveva in tasca la tessera della loggia segreta; Mario Tedeschi, già senatore missino, anima del Borghese, che della cospirazione curò immagine e bugie. Sono invece rimasti impigliati nel processo Piergiorgio Segatel, ufficiale dei servizi segreti condannato a 6 anni per depistaggio, e Domenico Catracchia, amministratore delle case romane di via Gradoli in cui si trovavano le basi dei brigatisti che rapirono e uccisero Aldo Moro e i terroristi “neri” dei Nar.
La strage, contrariamente alle apparenze, fu opera corale dell’estrema destra, ma soprattutto un progetto eversivo elaborato ad alto livello. Del resto Licio Gelli, capo della P2, l’ha dichiarato in più di un’intervista. Nell’80 mancava poco a una variante attenuata di colpo di Stato, l’attuazione del Piano di Rinascita, uscito dalle penne dei “costituzionalisti” affiliati alla loggia segreta. La movimentatissima biografia di Bellini sembra riflettere alla perfezione le geometrie di questo articolato contesto. Negli anni ’70, Bellini ha già ucciso, anche come braccio armato della sua organizzazione. Una delle sue prime vittime è Alceste Campanile (12 giugno 1975), un giovane simpatizzante della destra missina, successivamente passato nelle file di Lotta Continua. Le responsabilità di Bellini emergono solo negli anni ’90, dopo che lui stesso ha confessato. Tra i suoi protettori va segnalato Stefano Carmelo Serpa, legato al clan reggino dei De Stefano-Tegano (vedi Tribunale di Reggio Calabria, sentenza di primo grado del processo ‘ndrangheta stragista), successivamente diventato collaboratore di giustizia. Tra i ricordi di Serpa, quello del summit tenutosi a Serro Juncari il 26 ottobre del 1969, interrotto dall’arrivo della polizia.
Destra, ‘ndrangheta, Cosa Nostra
E’ una riunione storica, la prima in cui la ‘ndrangheta comincia ad assumere un aspetto unitario e piramidale, che distingue tra i tradizionali uomini “di sgarro” e i massimi livelli della cosiddetta “santa”, gli invisibili della ‘ndrangheta, in contatto con logge massoniche, politici compiacenti, uomini dei servizi segreti e delle forze di polizia. Anche il boss Paolo De Stefano, allora in ascesa, parla della necessità di stringere alleanze con nuovi ambienti, invitando una rappresentanza dei soggetti politici a cui si riferisce: Stefano Delle Chiaie, Pierluigi Concutelli, Felice Genovese Zerbi, esponente di punta dell’estrema destra reggina, Junio Valerio Borghese e tal Santo Saccucci, verosimilmente Sandro Saccucci, neofascista noto anche per la sua affiliazione alla P2. Manca solo un anno ai moti per Reggio capoluogo, su cui la destra metterà cappello, e De Stefano non ha dubbi: “Sta gente ‘ndi porta un sacco di sordi”, questa gente ci porta un sacco di soldi. Dunque tra gli “invitati” di De Stefano, secondo Serpa, oggi considerato un testimone attendibile, ci sono il futuro assassino del giudice Vittorio Occorsio, Pierluigi Concutelli, capo militare di Ordine Nuovo, il capo di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie e l’aspirante golpista Valerio Borghese. Le prime due sigle, unite ad altre, fanno da sfondo anche alla strage del 2 agosto 1980.
Serpa, alla fine degli anni Settanta, suggerisce al padre di Alceste Campanile una inesistente pista giallo-rossa per l’omicidio del figlio. Ad ucciderlo, dice Serpa, sarebbero stati giovani dei collettivi autonomi bolognesi coinvolti in un traffico di opere d’arte rubate, ma poi ritratta. Solo dopo venti anni Paolo Bellini confessa: e lui, sotto la falsa identità di un antiquario brasiliano, Roberto Da Silva, era davvero coinvolto in traffici di opere d’arte rubate. Dunque Serpa, detenuto all’epoca del depistaggio, era davvero ben informato. Il traffico di opere rubate c’era, ma era gestito da altre mani. Del resto, proprio alla fine degli anni Settanta, la ‘ndrangheta farà un altro grosso favore alla destra eversiva, favorendo la fuga di Franco Freda da Catanzaro, dove veniva processato insieme a Giovanni Ventura per la strage di piazza Fontana.
Questo è solo un frammento dell’immagine di Bellini. Basta pensare che quando ancora si sgomberavano le macerie della stazione, il procuratore di Bologna Ugo Sisti, che sulla strage doveva indagare, era ospite nell’albergo di Aldo Bellini, padre di Paolo. Sisti era anche legato da rapporti di amicizia all’allora colonnello del Sismi Pietro Musumeci, piduista, condannato con sentenza definitiva insieme a Licio Gelli, Francesco Pazienza e Giuseppe Belmonte per avere sviato le indagini sull’attentato del 2 agosto. Bellini-Da Silva, titolare di un brevetto di volo, trasportava il magistrato sul suo monomotore, sulla rotta Roma-Foligno. A Roma, Sisti si era già insediato alla guida del Dipartimento degli istituti di pena, da dove tra l’altro autorizzò il Sismi a entrare in carcere per trattare con Raffaele Cutolo la liberazione dell’assessore Ciro Cirillo, sequestrato dalle Br nella primavera dell’81.
Per capire Bellini, bisogna dare un senso a un florilegio di legami e contatti. Uno degli ultimi è quello con Antonino Gioè, pezzo grosso di Cosa Nostra, coinvolto nella strage di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Potrebbe essere stato attraverso Gioè che Bellini suggerì a Cosa Nostra i monumenti da colpire durante la campagna stragista del ’93, anche se questa, al momento, è solo un’ipotesi. Gioè è morto nel ’93 in una cella del carcere di Rebibbia. Si parlò allora di suicidio per impiccagione, ma l’inchiesta su quella morte è ancora in corso. E ha accertato ufficialmente che Gioè si apprestava a rivelare tutti i suoi segreti alla magistratura.
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