Attuare l’articolo 3
della Costituzione
sull’uguaglianza
Non dimentichiamo che già al World Economic Forum di gennaio 2020 si discuteva di come avviare una nuova fase del capitalismo, per metterlo in grado di affrontare i grandi temi del XXI secolo, specialmente lo scontro dell’attuale modello di sviluppo con i limiti planetari e la sua evidente incapacità di ridurre le disuguaglianze esistenti. Poi, nel corso dell’anno appena trascorso, tanti esperti delle diverse materie hanno pubblicato articoli e libri cercando di comprendere se e come la pandemia sia destinata a determinare cambiamenti epocali nei nostri sistemi socioeconomici, nel funzionamento dei regimi politici, nei valori, nei comportamenti individuali, ecc., mentre altri hanno invece sostenuto che ben poco accadrà alle regole di fondo che sovrintendono al loro funzionamento.
Anche se tanto è già stato detto e scritto su questi temi, il valore aggiunto di questo volume (Pubblico è meglio, a cura di Altero Frigerio e Roberta Lisi, Donzelli Editore, ndr) risiede nel contestualizzare queste discussioni alla luce dell’art. 3 della Costituzione italiana, il quale richiede che la Repubblica, non semplicemente lo Stato ma tutte le componenti della società, rimuovano “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Assumere questo punto di vista, se da un lato rappresenta una chiara scelta di campo degli autori, dall’altro pone il lettore davanti alla scelta se aderire o meno a quanto prevede quell’articolo della Costituzione, il quale – come dimostrano gli atti della Costituente – sintetizza in modo mirabile le diverse culture che contribuirono a scrivere quel testo.
Per me la scelta degli autori è pienamente condivisibile, a patto però che il principio della giustizia intragenerazionale venga integrato con quello della giustizia intergenerazionale, il quale è invece assente dalla nostra Costituzione, così come nelle carte costituzionali di gran parte dei Paesi occidentali. E non a caso, perché quando il testo è stato scritto si ipotizzava uno sviluppo economico sostanzialmente continuo e infinito, che avrebbe fatto sì che le nuove generazioni sarebbero state per definizione meglio di quelle adulte e anziane. Oggi sappiamo che non è così e lo sappiamo soprattutto nel nostro Paese, in cui la condizione delle giovani generazioni è andata deteriorandosi nei decenni senza che la politica e la società assumessero seriamente l’impegno ad invertire tale tendenza.
L’art 3 richiama tutte le componenti della società – non solo lo Stato – a disegnare e realizzare un futuro in cui gli ostacoli allo sviluppo delle persone siano rimossi. E se gli autori sottolineano così tanto il ruolo dello Stato nel cambiamento di paradigma auspicato è solo perché la storia degli ultimi decenni, caratterizzati da una logica neoliberista, ha visto in gran parte dell’Occidente affermarsi il mantra antistatalista, salvo poi vedere i privati chiedere proprio allo Stato robusti aiuti quando il mitico “mercato” va in crisi (si pensi alla grande recessione del 2008-2009 indotta dalla “bolla” dei subprime). C’è chi sostiene – non senza qualche ragione – che in Italia la rivoluzione neoliberista non si sia mai realizzata, neanche quando hanno governato forze politiche di centrodestra (in effetti, non tutte liberiste), visto l’ampio ruolo del settore pubblico nell’economia, l’asfissiante burocrazia (centrale e locale) e i livelli elevati di tassazione su chi le tasse le paga e di spesa pubblica.
Le interviste raccolte in questo libro contengono tante idee convincenti su come ridisegnare il ruolo dello Stato nel riorientamento del sistema socioeconomico italiano alla fine della pandemia. Ma, come dicevo, ciò che le forze politiche italiane – soprattutto quelle progressiste – appaiono incapaci di fare è trasformare queste – e tante altre – buone idee in una visione coerente di un disegno riformatore in grado di convincere gli elettori e riscaldare i cuori, soprattutto delle giovani e dei giovani. Le idee qui contenute confermano, come Fabrizio Barca e io abbiamo provato ad argomentare nel libro “Quel mondo diverso. Da immaginare. Per cui battersi. Che si può realizzare”, che tanti ingredienti per il possibile cambiamento del sistema capitalistico sono già disponibili nelle nostre società, compresa quella italiana. Ma allora cosa manca?
Guardando alle esperienze di altri Paesi in cui i partiti progressisti sono riusciti a convincere l’elettorato e a trasformare le istanze di giustizia economica, ambientale e sociale tipiche della sinistra in pratica politica, tre fattori appaiono molto rilevanti: facce nuove (specialmente donne e giovani), idee e parole nuove (specialmente connesse alla giustizia ambientale e sociale), sintonia con ampie aree della società (spesso rappresentate da organizzazioni di cittadinanza attiva) insoddisfatte dallo status quo e proiettate nel futuro. Ed è qui dove l’Italia appare in grave ritardo. Anche la crisi da Covid-19 ha confermato il distacco tra le forze politiche e la realtà di una società che ha reagito alle difficoltà moltiplicando le riflessioni e le azioni, ma senza riuscire a influenzare in profondità le posizioni delle prime. Quale migliore occasione, per una forza politica, del primo lockdown e dei mesi estivi per mobilitare gli iscritti e i non iscritti al fine di per elaborare una visione per l’Italia al 2025 o al 2030, da realizzare anche grazie ai fondi europei e nazionali, privati e pubblici? Tra marzo e settembre i siti web di decine di associazioni della società civile e di organizzazioni delle diverse categorie professionali sono stati arricchiti da documenti, più o meno articolati, contenenti idee e proposte per il futuro dell’Italia. Ma nessuna forza politica è stata in grado di offrire una sponda credibile a una società vivace, forse a tratti velleitaria, ma sinceramente desiderosa di contribuire a migliorare il nostro Paese, esattamente nello spirito dell’art. 3 della Costituzione.
Nonostante gli errori commessi e i ritardi accumulati, compresi quelli riguardanti la preparazione del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza ancora in gestazione, la sfida è ancora aperta, per noi come individui, come esponenti della società e quindi come persone che hanno la responsabilità di immaginare e realizzare un futuro migliore. Come Papa Francesco ha scritto nell’Enciclica “Fratelli tutti”, «Il politico è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico, anche al di là del proprio Paese». L’augurio è che il 2021 veda sorgere tanti politici, grandi e piccoli, accomunati dalla consapevolezza di essere una parte fondamentale di quella Repubblica chiamata a costruire un futuro più equo e sostenibile, da tutti i punti di vista.
*Enrico Giovannini è ministro delle Infratrutture e dei Trasporti e portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Il testo che pubblichiamo è un brano della prefazione al volume
Pubblico è meglio. La via maestra per ricostruire l’Italia
A cura di Altero Frigerio e Roberta Lisi
Donzelli Editore
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