“Denuncia il porco” via tweet, assolta l’eroina del #MeToo francese
Può un ottimo fine giustificare un mezzo quantomeno discutibile? E può il valore assoluto costituito dalla liberazione della voce delle donne far premio sulla domanda di giustizia di un uomo (modestamente) persecutore diventato per “colpa” dei social una vittima? Il caso che vede protagonisti, insieme alla recentissima sentenza di una corte d’Appello parigina, Sandra Muller, eroina di #BalanceTonPorc, il #MeToo francese, ed Éric Brion, molestatore non seriale, è destinato a far scuola.
L’incandescente storia s’innesca nel 2012, durante una serata collaterale del Festival di Cannes. Sandra Muller, direttrice di “Lettres de l’audiovisuel”, una rivista dedicata all’attualità dei media, incrocia Éric Brion, direttore ai tempi del canale tv Equidia. Sono a cena, Brion alza il gomito, si lancia in una avance pesante: “Hai un gran seno, sei il mio tipo, ti faccio godere tutta la notte”, un classico della maldestra, aggressiva volgarità maschile. La mattina seguente, si scusa con un sms. Sandra è stata offesa, tace.
Sulla scia del #MeToo
Cinque anni dopo, l’affaire Harvey Weinstein – il produttore americano della Miramax riconosciuto colpevole di plurime violenze sessuali e finito in carcere dopo le liberatorie denunce di molte delle donne che aveva aggredito – risveglia in Sandra Muller rabbia e malessere. È il 13 ottobre, twitta l’hashtag #balancetonporc, “denuncia il tuo porco”, fa il nome di Brion, racconta, invita le donne a gridare, a parlare. Basta omissioni, basta paura. Per la Francia è una rivoluzione, mediatica e politica, il messaggio arriva forte e chiaro, è viralissimo, in pochi giorni la voce di Sandra diventa il grido di centinaia di migliaia di donne. Il presidente Macron applaude pubblicamente la Muller in una serata dedicata agli eroi del 2017, “Time” le dedica una copertina. E Brion? Viene letteralmente asfaltato dai social media, travolto dal disprezzo generale, mollato dalla compagna e dagli amici, dimenticato dai manager con cui stava trattando contratti di consulenza per la sua agenzia. Un tweet lo ha seppellito.

L’ex direttore di Equidia non può starci, sostiene di non aver insistito dopo quella avance, di non aver mai tormentato Sandra, vuole “guardare di nuovo in faccia le sue figlie senza vergogna”. E agli inizi del 2018 denuncia la Muller, chiede i danni: “Lei mi ha rovinato la carriera e la vita, non ho commesso nulla di paragonabile a ciò che ha fatto Harvey Weinstein, un commento anche pesante e sbagliato non è un reato sessuale, sono stato processato dai media dove non potevo difendermi”. Gli avvocati di Brion evidenziano che per la legge francese si ha molestia sessuale quando si compiono pressioni gravi e ripetute nel tempo. Brion non lo ha fatto, per contro Sandra Muller sostiene di essere stata “molestata sessualmente e ripetutamente”, anche con insistenti sms.
Processo al processo mediatico
Il 29 maggio del 2019, la diciassettesima Camera civile del Tribunale di Parigi la condanna a pagare 15.000 euro di danni – Brion aveva ovviamente chiesto ben di più – e ritiene che Sandra non disponeva di una “base fattuale sufficiente” per “accusare pubblicamente” Brion “di un fatto così grave come la molestia sessuale”. La difesa della Muller (“Il mio era stato un urlo di rabbia lanciato senza l’intenzione di danneggiare nessuno”) non regge, c’è perfino un sospetto che, dopo il tweet, abbia intenzionalmente esagerato con la sua denuncia, imputando a Brion atti mai compiuti.
E arriviamo a questi giorni. Il 31 marzo la corte d’Appello ribalta la sentenza di prima istanza: “Anche se Eric Brion ha potuto soffrire in quanto primo uomo additato da #balancetonporc, va riconosciuto a Sandra Muller il beneficio della buona fede, dato che il suo tweet non conteneva l’accusa d’aver commesso un delitto penale e che era stato pubblicato nel quadro di un dibattito d’interesse generale sulla liberazione della parola delle donne, con una base fattuale sufficiente quanto al tenore dei propositi attribuiti a Éric Brion”.
In sostanza, Sandra denunciava nel tweet (non nelle altre accuse) un fatto reale di molestia, per quanto non passibile di venir punito come delitto penale. “Un giorno storico per la causa delle donne, delle vittime e per la Francia” ha esultato la Muller, mentre una delle sue avvocate, Jade Dousselon, ha parlato a sua volta di sentenza storica, il verdetto garantisce che chi “denuncia le molestie subite ed espone la sua verità non sarà condannato”. Al nocciolo della sentenza: non si possono imputare alle donne le conseguenze di atti compiuti dagli uomini solo per averne parlato pubblicamente.
Denuncia social e il tribunale della rete
Tutto liscio. Ma come “trattare” la delicata questione quando le conseguenze sono sproporzionate, mediaticamente esplosive, in alcuni casi terribili? Il filosofo, docente e conduttore radiofonico Raphaël Enthoven ha difeso il “movimento di liberazione delle parole” delle donne, ma ha messo in guardia dalle eventuali derive: “Che twitter faccia risuonare questo grido in tutto il mondo e geli il sangue dei porci è giustizia. Che per contro la rete si ritenga un tribunale è agghiacciante”. Éric Brion, soddisfatto perché i giudici lo hanno tolto dal piedistallo di molestatore criminale, aspetta l’eventuale Cassazione, anche se in Francia, a differenza dell’Italia, ci si arriva raramente. E rimane nell’aria un profumo di sentenza “ideologica”. Può un “dibattito di interesse generale” far premio sulla equilibrata delibazione processuale di un fatto specifico, nel caso una diffamazione? Quanto la detonazione di una denuncia via web può esimere da ogni responsabilità l’autore? E il politically correct che nel ribollire emozional-mediatico vuol diventare summum jus non rischia di trasformarsi invece, qualche volta, in summa iniuria?
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