Ascoltiamo i migranti, scambiamo cultura. Per sconfiggere la paura
“Quando siamo arrivati, ci hanno portati a Sambuco di Sicilia – racconta un ragazzo che viene dal Mali – all’inizio, quando camminavamo per le strade del paese i ragazzini scappavano, avevano paura di noi. Poi, un giorno è cambiato tutto. Abbiamo incontrato una donna, un’insegnante, che ci ha portati nella scuola dove lavorava e abbiamo cominciato a parlare in francese con gli studenti, per 40 minuti. Alcuni giorni dopo, mentre camminavo per strada zoppicando per un dolore alla caviglia, è passata una macchina con a bordo un ragazzino, uno degli studenti con cui avevamo parlato a scuola. Lui dice al padre ‘Fermati…è un mio amico… diamogli un passaggio”.
Questo racconto semplice contiene un messaggio importante: la paura si combatte con la conoscenza.
Ne abbiamo parlato nell’incontro, pensato e organizzato da un gruppo di psicoanalisti e psicoterapeuti, tenuto a Messina presso il Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala dal titolo “Un’altra Umanità”.
Tema centrale è il binomio “accoglienza-integrazione”.
Accogliere e integrare non sono la medesima cosa. La differenza è sostanziale.
Se è vero che accogliere persone in difficoltà è indiscutibile, non lo è altrettanto riuscire a integrarle. Non tutti i migranti vogliono integrarsi, spesso sono diffidenti o non apprezzano i modelli che offriamo. Non è scontato che fuggire dal loro territorio significhi voler accettare un’altra cultura e volersi integrare in un luogo che neanche conoscono. “Come voi avete paura di noi africani – dice un ragazzo nigeriamo – noi l’abbiamo di voi italiani”.
Il processo di inclusione è molto complesso e, affinchè riesca, deve prescindere dall’emotività. Attenzione dunque alla deriva “buonista” frutto di senso di colpa e idealizzazioni. Fondamentale invece l’attitudine alla complessità, essere critici e realistici.
Integrare significa scambiare reciprocamente con l’altro il proprio mood culturale, fare della diversità una ricchezza per entrambi le parti. Non imporre la propria cultura, né subire quella dell’altro. L’integrazione non è tutta uguale, ci sono tanti percorsi, tanti vissuti risalenti al posto da cui si viene e a quello che si è patito che possono facilitare o ostacolare il processo integrativo.
Gli operatori di Terre des Hommes hanno ricordato che l’integrazione dei migranti va fatta attraverso momenti di scambio alla pari tra migranti e autoctoni. Per esempio istituendo laboratori linguistici, di fotografia, di teatro, di musica, ecc.
E’ bene poi non puntare sulle storie traumatiche dei migranti. Molti non hanno voglia di raccontarle, così come noi, di fronte a esperienze fortemente traumatiche, non vogliamo condividerle. Tutte le testimonianze dei mediatori dicono che, a un certo punto, il racconto diventa vago e impreciso e, infine la persona ammutolisce. Chiedere al migrante di raccontare la sua storia spesso significa farlo ritornare sul suo trauma. Cosa non utile, che può sviluppare in chi ascolta una sorta di voyerismo, e in chi racconta il focalizzarsi sul trauma doloroso. Il racconto del trauma, laddove possibile, andrebbe fatto con uno psicologo e nel rispetto della privacy.
Da tre mesi a questa parte, più o meno dall’entrata in vigore del Decreto Sicurezza, si è registrato un aumento di Tso (trattamento sanitario obbligatorio) a carico dei migranti. Un fatto grave. Perché, testimonia una psichiatra che opera nella Salute Mentale, si tratta di uomini giovani e sani, per i quali scatta il Tso solo perché girano per strada ubriachi. Una volta dimessi dal reparto di psichiatria hanno difficoltà a essere riammessi nelle strutture di accoglienza poiché “vulnerabili”. Un circolo vizioso che “crea” malattia mentale in soggetti che malati mentali non sono.
Una giovane donna, arrivata in Italia con i suoi tre figli grazie ai corridoi umanitari – racconta la psichiatra – ha avuto un momento di scompenso ed è stato necessario ricoverarla in psichiatria. Gli operatori dei Servizi, seguendo la prassi, hanno avvisato i servizi sociali che hanno fatto scattare l’iter di separazione dei figli dalla madre. Un altro esempio di disforia del sistema.
Invece, per fare buona accoglienza e sana integrazione, è fondamentale fare rete. Rete tra i Servizi, le associazioni, le famiglie, in cui tutti siano anelli funzionali. Solo creando una rete si può conoscere la realtà di queste persone che chiamiamo “migranti”, termine ormai diventato un sostantivo identitario usato al posto del loro nome. Conoscerli, conoscersi ostacola la cultura della paura e dell’odio.
E’ ormai tristemente noto come oggi una certa politica abbia fatto della disumanizzazione la sua cifra a fini propagandistici. Il linguaggio che usa Salvini è appositamente semplificatorio, si direbbe studiato. Ripete sempre la medesima frase, anche elementare, usando termini comuni, per indicare un nemico identificato nel migrante, nella fattispecie, ma di volta in volta può variare bersaglio. Ripetendo la stessa frase all’infinito produce un martellamento mediatico che fa leva sulla paura, serve a indebolire le persone e, dunque, le spinge ad affidarsi un leader che inneggia “Prima gli italiani”, (tra)vestito di autorità. E’ un messaggio politico allarmante che usa la falsificazione delle notizie e il ribaltamento della realtà. Ciò che è vero viene sostituito nel suo converso e ciò che è falso è spacciato per unica possibile verità.
Fatto salvo il destino dei cosiddetti migranti, il problema dell’accoglienza è centrale anche e soprattutto per il destino della democrazia del nostro Paese. Se la politica latita, tocca alla società, ai singoli cittadini e alle associazioni, tutti indistintamente.
E’ evidente che non si può non soccorrere persone che stanno morendo in mare o che migrano per scampare alla morte o anche, citando l’infelice frase di Giorgia Meloni, semplicemente perché “gli va”…
La politica sta fornendo una delle pagine più miserabili della storia ma, a differenza del passato, sembra che oggi la protesta sia sempre più attiva e sempre più organizzata.
* Donatella Lisciotto è psicologa e psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, socio fondatore del Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala di Messina
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