Argentina, un morto
piomba sul voto

Non è l’Argentina di Videla di fine anni ’70, e nemmeno il Cile di Pinochet. Siamo, circa cinquant’anni dopo, nell’era della presidenza democratica dell’argentino Mauricio Macri. “Nunca más”, “mai più”, questo ci si era ripromessi alla fine della dittatura. Mai più uomini e donne in un vortice di crudeltà e di oblìo, mai più esistenze cancellate, corpi gettati nel vuoto. Eppure oggi un’ombra si addensa sulle elezioni legislative di metà mandato di domenica 22 ottobre in Argentina: il ritrovamento del corpo di Santiago Maldonado, sparito improvvisamente il primo agosto, apre infatti uno squarcio inquietante sulla vicenda argentina.

Perché, nonostante i tentativi di insabbiare le poche notizie disponibili, e nonostante il silenzio insopportabile di giornali e tv occidentali in questi ottanta giorni, ancora oggi, in Argentina, si continua a “sparire”. E a morire. Un film dell’orrore già visto.

Ma chi era Santiago Maldonado? Era un giovane artigiano di ventotto anni, attivista della Ram, la Resistenza ancestrale mapuche, nata negli anni ‘90 in seguito all’acquisto da parte di multinazionali – tra le quali figura in prima fila il marchio italiano Benetton, su un terreno del quale sarebbe stato ritrovato il corpo di Santiago come riferisce il sito Il Post – di 900 mila ettari di terra di proprietà degli indigeni mapuche. Di Santiago non si avevano tracce da quando era scomparso a seguito di una violenta retata della gendarmeria nazionale nel territorio della comunità Mapuche Pu Lof, nel dipartimento di Cushamen, vicino Chubut.

Alcuni testimoni hanno dichiarato di averlo visto correre per sfuggire agli spari, e rifugiarsi sotto un albero; lo avrebbero poi perso di vista, ma sarebbero comunque stati in grado di udire distintamente la voce di due gendarmi gridare: «Abbiamo qui uno» e intimare a qualcuno «Sei in arresto», e di vedere dei soldati percuotere un uomo ammanettato caricandolo con forza all’interno di un furgone. Santiago aveva con sé un piccolo zaino con effetti personali e documenti che non sarebbe stato ritrovato vicino al corpo.

Una dinamica nota, quella che ha coinvolto Maldonado, che fa dire al fratello che Santiago che è stato sequestrato e poi fatto sparire dalle forze di polizia. E a dimostrazione di quanto insopportabile possa essere per un popolo come quello argentino ripiombare nell’incubo delle sparizioni forzate e dei corpi ritrovati, ci sono le decine di migliaia di persone riversatesi lo scorso 1° settembre, a un mese esatto dalla scomparsa dell’attivista, in Plaza de Mayo a Buenos Aires, luogo simbolo de las madres y las abuelas dei desaparecidos. Migliaia di voci, cartelli, striscioni, un’unica, sola, domanda: ¿donde está Santiago Maldonado? Dov’è Santiago Maldonado, domanda che poi è diventato un hashtag virale sui social network, e poi ancora un appello lanciato da Amnesty International.
Il ritrovamento del cadavere di Santiago brucia ogni residua speranza e desta una diffusa preoccupazione tra gli argentini.

Quel corpo piomba sulle elezioni che si svolgeranno domani e che sono state in queste settimane l’unica preoccupazione del presidente Macri. Durante la campagna elettorale Macrì è stato evasivo, volutamente disinteressato, forse convinto che il caso Maldonado si sarebbe sgonfiato da solo con il tempo. La fine terribile dell’attivista della resistenza Mapuche costringe il presidente a fare i conti con una verità che avrà un peso nelle urne. Le dichiarazioni del capo del personale del ministero della Sicurezza Pablo Noceti a proposito della vicenda Maldonado erano state piuttosto eloquenti: egli aveva più volte bollato l’organizzazione mapuche come «terrorismo», vantandosi pubblicamente di voler fare arrestare tutti suoi componenti senza ricorrere all’intervento di un giudice, ritenuto «non necessario». Anche le richieste avanzate dal Cels (Centro di studi sociali e legali) rivolte ai segretari di Stato affinché venisse fatta chiarezza sull’accaduto sono rimaste inevase, e la somma di 500 mila pesos promessa dalla ministra per la Sicurezza Patricia Bullrich a chi ritrovi Maldonado vivo, somigliano oggi più a una presa in giro che ad altro.

Ma cosa significa questa orrenda storia argentina? Se lo chiede Claudio Di Benedetto, figlio di Filippo, partigiano e sindacalista calabrese emigrato in Argentina negli anni della dittatura che, insieme al viceconsole Enrico Calamai e al giornalista del Corriere della Sera, Gian Giacomo Foà, diede rifugio, aiuto e supporto ai suoi concittadini italiani perseguitati dal regime: «Sparire significa perdere la prerogativa fondamentale che spetta ad ogni essere umano, ovvero esistere, far parte di una comunità con la quale condividere diritti e doveri”. Sparire è questo, sparire è morire. E la storia di Santiago Maldonado, il suo giovane corpo ritrovato sulle rive di un fiume e tutte le domande che lascia in sospeso, stanno lì a raccontarci che l’Argentina lotta, ancora oggi, con i propri fantasmi.