Antonio, Giovanni e Pietro: in giugno Lisbona festeggia i suoi “santi popolari”
Nel mese di giugno Lisbona è in festa. I vicoli e le piazze dei quartieri storici di Alfama, Mouraria e Graça, ma anche Madragoa, Santos, Lapa e Bairro Alto, si adornano di festoni e ghirlande di carta colorata e l’odore intenso delle sardine alla brace solletica il naso e l’appetito a ogni ora del giorno e della notte, diventando fumo spesso e denso non appena gli arraiais (così si chiamano queste improvvisate feste popolari lisboetas) si riempiono di avventori.
L’aroma del manjerico

Le piantine di manjerico – un parente del basilico, ma con le foglie piccolissime – fanno capolino sui davanzali delle finestre, garofani di carta spuntano dalle piccole chiome verdi e profumate, ornati di una piccola bandierina su cui è scritta una quartina in versi. Musica di orchestrine, canzonette e fados si mescolano nell’incessante frastuono di una città che non vuole saperne di stare tranquilla.
Giugno a Lisbona è il mese dei santos populares, “i santi popolari“, questo il nome con cui si indicano le celebrazioni in onore di Sant’Antonio (13 giugno), santo protettore del Portogallo e indissolubilmente legato alla storia della propria città natale.
Il nome plurale con cui si indicano i festeggiamenti non deve stupire, visto che a Lisbona, come in tutto il Portogallo, così come in altri paesi di tradizione cattolica, fino a non molto tempo fa si festeggiavano tre importanti santi nel mese giugno: Sant’Antonio, San Giovanni (São João) e San Pietro (São Pedro).
Sant’Antonio non è da Padova
Per i lisboetas, Sant’Antonio è certo il più importante fra i tre perché a Lisbona era nato, sebbene sia conosciuto universalmente come “Sant’Antonio da Padova“, città dove visse a lungo e morì, appunto, il 13 giugno del 1231. Ogni anno, nella notte che precede la festa del santo, Lisbona s’illumina a giorno e fiumi di persone si riversano per i quartieri del centro, camminando per ore, bevendo vinho e cerveja e mangiando sardinhas no pão, ballando, ridendo e scherzando fino alle prime luci dell’alba.
A Lisbona, il culto di Sant’Antonio affonda le proprie radici in tempi assai remoti, probabilmente anteriori allo stesso frate francescano, vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo.
Irisalva Moita, una delle più importanti studiose di storia cittadina, collega il luogo in cui sorge la Chiesa di Sant’Antonio – eretta, secondo la leggenda, sulla casa natale del santo – al punto in cui si trovava una delle antiche porte di accesso alla città: non è da escludere, dunque, che il culto antoniano si sia sviluppato a partire dal tradizionale culto romano delle divinità tutelari dell’urbe. In particolare quello di Mercurio, suggerisce Moita, dato che proprio in quel luogo fu a suo tempo ritrovata una iscrizione dedicata proprio al messaggero degli Dei. E con Mercurio potrebbe condividere, fin dagli albori del suo culto lisboeta, il potere di fare trovare oggetti in modo inatteso, fino a diventare, secondo la tradizione cristiana, il santo a cui ci si raccomanda per recuperare ciò che si è smarrito.
Dottore della Chiesa, ma popolare
Sant’Antonio, al secolo Fernando Martins de Bulhões, era tutt’altro che un semplice fraticello francescano. I suoi Sermones rivelano una cultura vastissima, non solo dottrinale, ma anche filosofica e scientifica: il santo lisboeta, infatti, è l’unico portoghese a essere stato insignito del titolo di Dottore della Chiesa.
Nonostante la sua erudizione, però, è da sempre considerato, come si è visto, un santo popular, protettore degli orfani e degli oppressi, dei marinai e dei naufraghi, intermediario (come Mercurio) tra i vivi e la divinità, il santo a cui ci si raccomanda per le alminhas, le anime in pena che sostano nel Purgatorio.
Fernando Pessoa, che con Sant’Antonio condivideva ben due nomi – Fernando António era il suo nome di battesimo – e una data fatidica, quel 13 giugno anniversario della nascita del poeta e della morte del santo, in uno dei suoi tre poemetti mai pubblicati, dedicati proprio alla triade dei santos populares, scriveva in merito al santo lisboeta per eccellenza:
Qual Santo António! Tu és tu.
Tu és tu como nós te figuramos.
[Ma quale Santo Antonio! Tu sei tu.
Tu sei come noi ti figuriamo.]
Le feste nel Seicento
E così come il più portoghese tra i santos populares, anche le celebrazioni a lui dedicate sono da sempre come ciascuno se le figura, una festa flessibile ed elastica, capace di cambiare, e anche molto, secondo le epoche e gli umori del momento.
Della Lisbona medievale non si hanno testimonianze, ma sappiamo che nel Seicento si festeggiava per tutto il mese di giugno con fuochi e saltimbanchi, si vendevano vino ed erbe aromatiche celebri per i loro poteri magici, come il rosmarino e la menta della tradizione gitana, e il manjerico, proprio come oggi.
Le celebrazioni avvenivano per lo più sulla grande piazza del Terreiro do Paço (oggi Praça do Comércio), luogo deputato a fiere e mercati, e si concludevano, sempre secondo Moita, con la caratteristica tourada cioè la corrida alla portoghese.
In seguito al terribile terremoto del 1755, il Marchese di Pombal, principale artefice della ricostruzione della città, decise di adibire il terreno adiacente la centralissima piazza del Rossio a mercato a cielo aperto della città, ribattezzandolo Praça da Erva, che ben presto divenne sede principale dei festeggiamenti in onore dei santos populares.
Nella seconda metà del XIX secolo, tramite la costruzione di una struttura di ferro battuto che ospitava al proprio interno i banchi degli ambulanti, il mercato divenne coperto e la piazza assunse il nome più profumato di Praça da Figueira, ereditandolo a quanto pare da un albero di fico rimosso in tempi precedenti per fare posto a un pozzo.
Di piazza in piazza
Le annuali feste dei santos populares continuarono ad avere il proprio centro in quella piazza, la cui conformazione rimase pressoché inalterata fino al definitivo smantellamento del mercato, avvenuto nel 1947. Solo qualche anno prima, nel 1938, le festività dei santos populares furono rinominate Festas de Lisboa e trasformate a tavolino in una serie di celebrazioni folcloriche al servizio della ancora giovane dittatura di Salazar.
I festeggiamenti si spostarono nuovamente in riva al Tago, su quella che con la post-terremoto era divenuta la monumentale piazza d’armi della Praça do Comércio. La più importante novità fu certamente l’aggiunta propagandistica delle marce rionali, con tanto di recupero improvvisato di costumi e musiche tradizionali forse mai esistiti: sono queste le marchas populares ancora oggi centro di attenzione per il loro carattere di competizione fra i bairros cittadini, che gran parte dei lisboetas ritiene forse secolari, dando manifestamente ragione a Hobsbawm e Ranger.
Le nuove Festas de Lisboa volute da Salazar e dal suo Secretariado da Propaganda Nacional erano tutte improntate sull’esaltazione del Portogallo castiço, ovvero “puro, genuino, sincero”, per garantire un’immagine popolare (o forse, diremmo oggi, populista) a un regime che ha deliberatamente mantenuto le classi popolari nella miseria e nell’analfabetismo, per quasi 50 anni.
Una festa quasi carnevalesca

Dopo la Rivoluzione del 1974, la festa dei santos populares è tornata però a essere nuovamente libera e liberatoria, reinvenzione di una celebrazione carnevalesca di cui si era forse perduta memoria durante gli oscuri decenni del regime.
Anno dopo anno, da quando siamo em liberdade, come ancora si dice da queste parti, i santos populares sono tornati a infiammare l’animo dei lisboetas, desiderosi di perdersi in quella notte dove ogni ragione è buona per stare allegri ed esagerare.
Negli anni Duemila, hanno assunto nuovamente il nome di Festas de Lisboa, non tanto per rifarsi – crediamo – al periodo della dittatura, quanto per dare un carattere cittadino e laico alle celebrazioni. Il comune di Lisbona coordina le manifestazioni nei rioni storici della città, tramite le circoscrizioni locali, lasciando comunque sempre ampia libertà all’iniziativa di ciascuno.
Musica, bracieri e sardine
Persiste l’uso di accendere dei piccoli bracieri artigianali e vendere sardine fuori dalla porta della propria abitazione, così come quello di occupare le piazze con i caratteristici arraiais, al suono delle musiche di sempre, dando l’illusione che la città non sia poi così cambiata. Ma la città è cambiata, negli ultimi decenni è molto cambiata, così come i suoi abitanti, e Sant’Antonio, ci ricorda Pessoa, deve essere come noi ce lo figuriamo. Ma come dobbiamo figurarcelo?
Forse, prima che Lisbona tolga di nuovo i suoi festoni e le sue ghirlande, è venuto il momento di fermarsi a riflettere, anche per cercare di capire chi siamo diventati.
Credo si debba guardare soprattutto a quelle realtà cittadine che in occasione dei santos populares – ma non solo – celebrano la festa di tutti gli abitanti di questa città: è il caso della associazione Renovar a Mouraria, che da anni svolge un lavoro straordinario in uno dei quartieri storici più antichi e popolari di Lisbona, diventato anche uno dei più multietnici, oltre ad essere uno dei più complicati.
Cibi di strada, meticciato nel piatto
Nell’Arraial Composto organizzato dal Renovar si vendono i carapaus, i “sugarelli”, pesci molto amati su tutta la costa Atlantica, invece delle sardine, divenute loro malgrado simbolo di una città e di un paese intero e per questo ormai a rischio estinzione; si vendono però anche il couscous arabo e le chamuças – meglio note ai frequentatori del subcontinente indiano come samosas – piccoli triangoli di pasta fritta ripieni di carne e verdure molto speziate; e si combatte l’uso eccessivo della plastica tramite l’uso di bicchieri con cauzione, si invitano i partecipanti a non gettare a terra i mozziconi di sigaretta che impiegano secoli a decomporsi e gruppi composti da artisti venuti da ogni parte del mondo suonano musica brasiliana, africana, portoghese, italiana…
Quest’anno, come ogni anno, prima che Lisbona svesta i panni della festa, prima che il manjerico si secchi e muoia perché lo abbiamo odorato infilando il naso fra le sue foglie, invece di toccarlo leggermente per poi annusare l’incavo della nostra mano, vale la pena di fermarsi a pensare quale Sant’Antonio dobbiamo figurarci l’anno che verrà, perché sia davvero un santo popular.
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