Antonella e la difficoltà
di fare la giornalista
tra Sudan e Darfur

Antonella Napoli, l’unica giornalista europea con un travel permit per viaggiare in Sudan, compreso il Darfur, è stata fermata e rilasciata dopo alcune (lunghissime) ore dalla polizia del Sudan. L’hanno lasciata andare dopo aver cancellato tutte le riprese che lei aveva fatto di “obiettivi sensibili”: il lancio di lacrimogeni contro dei manifestanti. L’hanno rilasciata dopo aver distrutto il suo lavoro di testimone, di giornalista.

L’ansia dei colleghi e degli amici non solo in Italia è stata grande, l’allarme per un sms bruscamente interrotto – mandato ad Amnesty – in cui diceva di essere stata fermata a Khartoum da sedicenti poliziotti. Poi il silenzio. Già nei giorni scorsi, per altro, Antonella aveva denunciato la situazione di estrema tensione. L’ultimo suo post su Facebook, poche ore prima del fermo, raccontava: “A Khartoum si è appena conclusa la terza settimana di proteste contro il governo del presidente Omar Hassan al Bashir. Almeno 37 morti, secondo Amnesty, molti di più per l’opposizione. Le autorità sudanesi ammettono ‘solo’ 19 vittime nei disordini. E noi giornalisti siamo guardati a vista. Ma questo non ci impedisce di raccontare ciò che sta avvenendo nell’indifferenza del mondo.

Contro l’indifferenza del mondo Antonella si è sempre battuta. Giorno su giorno racconta sui social cosa accade nel mondo non-libero, dove attivisti e giornalisti finiscono in galera per un nulla. Per lei il viaggio in Sudan è un ritorno. Sudan e Darfur. È stata l’unica giornalista europea a raccogliere le testimonianze delle donne vittime di stupro, utilizzato come arma di guerra, in Sudan, raccolte nel libro “Volti e colori del Darfur.

Ed è una ripartenza professionale: un free lance che viaggia senza committente, senza assicurazione. La sua storia racconta della difficoltà per i giornalisti di testimoniare la realtà di queste aree del mondo tormentate; racconta dell’indifferenza dell’Occidente verso i Paesi dove i diritti umani vengono calpestati; racconta anche delle difficoltà di chi oggi fa il mestiere del giornalista in Italia…

Nella mail inviata ad amici e colleghi prima di partire, insieme agli auguri di Buon anno, Antonella ha raccontato le ragioni del suo viaggio: “un viaggio che mi porterà in Sudan (dove è in corso una rivolta che ha causato oltre 40 vittime ad oggi e ricalca quelle della Primavera Araba che il regime di Bashir sta reprimendo con la forza, come ho raccontato su “Il Fatto”, pressoché in solitudine) per poi, di ritorno, andare in Egitto per l’anniversario del rapimento e l’uccisione di Giulio Regeni.

Il 2018 – racconta Antonella – è stato per me un anno duro che mi ha vista, dopo 20 anni di art. 1 passare alla disoccupazione non essendomi stato rinnovato il contratto in Senato dove mi sono occupata, dopo l’esperienza di portavoce di Lamberto Dini, di comunicazione politica per i gruppi di centrosinistra che dal 2000 si sono succeduti a Palazzo Madama. Ho pagato lo scotto di essermi esposta per temi ‘scomodi’, per l’impegno nella difesa dei valori della libertà di espressione e della Costituzione con Articolo 21 e l’aver collaborato nell’ultima legislatura con Luigi Manconi, senza mai tirarmi indietro quando la sua area politica (che poi era quella per cui lavoravo…) non condivideva tanto meno sosteneva le sue battaglie che sono diventate le mie. A cominciare dalla vicenda di Giulio Regeni.

Per fortuna – continua – tornando al giornalismo ‘attivo’ (nel ’98 avevo lasciato un contratto da redattore in un quotidiano e collaborazioni con la Rai e Vanity Fair), ho saputo ritagliarmi uno spazio, seppure da free lance, e ho ripreso a scrivere per quotidiani e riviste di primo piano e soprattutto di temi a me cari. Ma è dura, sia perché i compensi sono notevolmente ridimensionati sia perché l’offerta e la concorrenza sono ampie. 

Ho quindi colto l’occasione di questo viaggio – sono l’unica giornalista europea con un travel permit per viaggiare in Sudan, compreso il Darfur – per poter raccogliere materiale su cui lavorare per poi proporlo a quelle testate o aziende/produzioni televisive disposte ad acquisirlo.

Parto da precaria, senza assicurazione e contro il volere di mio marito e mia figlia. Ma non ho alternative. Dopo 8 mesi non ho trovato altro, e con le sole mie forze, che questo genere di collaborazioni che mi hanno portato in giro per l’Europa e dal 2019 in posti ancor più lontani e pericolosi. Lo faccio perché questo mestiere è la mia vita. Lo sarà sempre!