Anedda e il nome degli schiavi
che costruiscono le nostre piramidi

In questi giorni di pandemia, viene ripetutamente detto “non sarà mai più lo stesso”. Si parla di rottura, come se la storia degli uomini fosse un’asta: se si rompe, la si cambia con un’altra. Diversa asta, diversa storia. Eppure, tutto ciò sembra essere più un sogno – o meglio: un’illusione – irradiato dagli schermi connessi. Dal 2001, le immagini prospettano una storia che va avanti velocissima, con eventi che esplodono come bombe (a volte non come: sono letteralmente bombe). Il calore sprigionato fonde tutto, quasi come se da ogni evento dovesse venir fuori una nuova materia con cui forgiare un nuovo tempo.

Quei sentimenti repressi

Si resta, nonostante tutto il trambusto, costantemente delusi. La storia contemporanea sembra sdoppiarsi, perdere il suo fuoco, sfibrarsi in vari percorsi: c’è una storia che scorre lontana, tele-visiva, e c’è un vissuto prossimo, banale, abitudinario. C’è la storia intima e la storia intorno a noi, ci sono sentimenti repressi e sentimenti anche fin troppo espressi.

La raccolta poetica di Antonella Anedda, Historiae (2018), sembra fare riferimento a tutto ciò. Per parlare dell’oggi, è particolarmente significativa la seguente poesia:

 

Confini

L’ennesima notizia della strage arriva questa sera
nell’ora in cui messi gli ultimi panni in lavatrice
si scoperchiano i letti per dormire.
Sullo schermo del televisore unica luce nella stanza buia
scorrono visi morti e morti vivi, lampi di armi,
corpi nudi e dentro ai calcinacci un cane.
La storia moltiplica i suoi spettri, li affolla
ai confini degli imperi nell’èra di ferro che ci irradia.
Ha inizio un assedio senza nome.
Acque reflue, alluvioni, rocce spaccate
in cerca di petrolio. Resistono gli schiavi
intenti a costruire le nostre piramidi (p. 41).

Gli eventi televisivi ‘danno vita’ a spettri: gli uomini e le donne perdono consistenza, si trasformano in mere proiezioni. Il corpo non è più il segno di un vissuto, di un’identità sorta da una storia personale, ma una traccia della distruzione che fa notizia. Il corpo non conta più nella sua unicità, ma nel suo essere massa da ammassare: «l’ennesima notizia della strage» mostra il corpo come un numero aggiunto a una serie che non finisce mai, che scorre nell’indifferenza del lavoro casalingo.

La pandemia ha prodotto immagini di corpi, corpi che si sono accumulati negli ospedali, nei camion militari, nelle fosse comuni di New York, ma anche nelle tabelle degli studi degli epidemiologi, sotto forma di statistiche e percentuali. E siamo stati “assediati” da questi “senza nome”: abbiamo resistito chiusi in casa, giustamente spaventati da un nemico minuscolo che ha trasformato il volto del prossimo nel volto di un possibile nemico. L’untore, l’untore.

Nominare gli schiavi

Tuttavia, il Covid-19 non è l’unica malattia che serpeggia nella nostra società: un volto, con nome e cognome questa volta, George Floyd, ricorda che si può morire e si continua a morire anche per altro. Agamben (perché ha detto anche cose importanti, e tante), in Infanzia e storia, ha parlato della larva: è il morto in quanto cadavere puro, che ha bisogno del rito funebre per trasformarsi in antenato, per divenire “storia” della comunità. Dare un nome a questi corpi, smetterla di ammassarli nelle tabelle o nelle immagini televisive, significa restituirli alla storia, che è la nostra storia.

Questi corpi vanno nominati, affinché si pronunci lo scandalo della loro morte: parlarne significa capire, ma anche osservare ciò che è nascosto dietro alle immagini dell’“ennesima notizia”: gli “schiavi intenti a costruire le nostre piramidi”, insegna la Anedda. Tutti siamo destinati alla morte: ma c’è chi muore e diventa spettro, un numero astratto, e c’è chi viene glorificato in una piramide, diventando il simbolo di un’epoca ed edificando un certo tipo di storia. Allora, sembra che sia arrivato il momento di nominare gli schiavi, tutti coloro che vengono oscurati dalle ombre dei monumenti alla gloria altrui: che siano loro a illuminare le strade della storia, e non i mausolei, le tombe, le mummie, i simulacri.

 

 

Antonella Anedda

Historiae

Einaudi, 2018.