Anche in Germania soffia
(non solo a destra)
il vento dell’antipolitica
C’era una volta la stabilità della Germania: partiti consolidati, alleanze prevedibili, istituzioni forti, governi con maggioranze di ferro. Alla vigilia di un appuntamento elettorale che potrebbe segnare una svolta radicale, questo idillio, già molto appannato, potrebbe essere consegnato definitivamente alla storia. Se i sondaggi dicono la verità, il voto di domenica prossima in Baviera sarà un terremoto. La CSU, il partito cristiano-sociale che fa l’ala di destra di un’Unione con la CDU sempre meno unita, dovrebbe perdere la maggioranza assoluta che ha praticamente da sempre. Alternative für Deutschland le sottrarrà un bel po’ di voti da destra, ma non è chiaro se il 12-13% che potrebbe prendere basterà al partito xenofobo, razzista e ambiguamente nostalgico per diventare il secondo partito nel Land. Potrebbe addirittura scivolare al quarto posto, se la SPD riuscirà a trincerarsi sul 12% in cui è precitata rovinosamente in Baviera nelle elezioni federali dell’anno scorso e i Verdi saliranno, com’è nelle previsioni, verso il 15-17%. E inoltre c’è l’incognita dei Freie Wähler, liberi elettori d’una lista che pretende di considerare Monaco e dintorni campagnoli un mondo a sé, dove si vota pensando solo ai casi locali e chissenefrega di tutto il resto.
Che succederà poi? Il lungo regno di Angela Merkel, dicono quasi tutti, sta per finire. Il capitombolo annunciato dei fratelli-coltelli cristianosociali aggraverebbe le sue debolezze già manifeste. Anche se c’è un paradosso in questa previsione, giacché il grande sconfitto nel disastro della CSU sarebbe proprio il nemico interno della cancelliera più determinato e più cattivo, il ministro federale dell’Interno e, almeno un tempo, padre-padrone della Baviera Horst Seehofer. E anche se – va detto anche questo – è davvero difficile individuare nella CDU di oggi un successore che abbia intelligenza, prestigio e popolarità (residua) neppure lontanamente paragonabili a Frau Merkel.
Insomma, le prospettive sono molto confuse. E non contribuisce a fare chiarezza uno studio sul populismo nella Repubblica federale diffuso in questi giorni dalla Bertelsmann Stiftung, un istituto di ricerca molto autorevole. I ricercatori della Bertelsmann Robert Vehrkamp e Wolfgang Merkel hanno identificato tre atteggiamenti fondamentali che definiscono l’approccio populistico alla politica: 1) il sentimento anti-establishment, 2) il fastidio per il pluralismo e 3) il desiderio dell’affermazione di una non meglio definita “volontà del popolo”. Questi tre atteggiamenti sono fortemente in crescita in seno all’opinione pubblica tedesca e sarebbero condivisi, oggi, da un buon 30% della popolazione. Il 33 per cento resterebbe ancorato ai valori tradizionali, ma questa percentuale sarebbe in calo: in un solo anno, dal 2016 al 2017, secondo il “barometro del populismo” della Bertelsmann i non populisti avrebbero perso quasi tre punti.
Attenzione, però. In Germania secondo Vehrkamp e Merkel il populismo non favorisce soltanto il partito dell’estrema destra antisistema, ma si riversa, per così dire, anche sul centro moderato e l’estrema sinistra. C’è populismo e populismo insomma, o, se si vuole, di populismo non ce n’è uno solo. Secondo i ricercatori, almeno un elettore su 8 della CDU-CSU condivide i tre princìpi indicati sopra, e ancora più alta è la componente populistica nell’elettorato della Linke, la sinistra radicale. La confusa percezione di questo “favore populistico” ha portato la CDU e ancor di più la CSU a piegare progressivamente le proprie posizioni verso destra. Questa tendenza è apparsa chiara in materia di immigrazione. I cristiano-democratici hanno abbandonato di fatto la politica dell’accoglienza adottata all’inizio dalla cancelliera Merkel e ancor più netto è stato lo spostamento a destra della CSU, ossessionata dalla concorrenza di AfD e drammaticamente memore dell’antica raccomandazione del padre fondatore Franz-Josef Strauss: alla nostra destra ci può essere solo il muro.
Questo trend ha fatto sì che larghe porzioni dell’elettorato moderato di centro si sia spostato verso i Verdi, il cui progresso nei sondaggi, non a caso, appare direttamente proporzionale alle perdite dell’Unione CDU-CSU e lascia intravvedere, in prospettiva, un possibile sorpasso della SPD. Anche qui si manifesta un paradosso: a beneficiare del favore dei non populisti è proprio il partito che nacque, tanti anni fa, come forza anti-establishment.
A sinistra sono i socialdemocratici a pagare il prezzo più alto al trend populista e questa tendenza ha avuto un drammatico impulso dalla scelta del gruppo dirigente di accettare il ritorno alla große Koalition compiuta in nome della stabilità politica e istituzionale ma avvertita dalla base come una decisione del vertice, contraria alla volontà del popolo socialdemocratico.
E veniamo all’estrema destra. Ovviamente gli estremisti di AfD beneficiano notevolmente del trend populista, anche se non sono i soli. Ma, secondo Vehrkamp e Merkel, ricevono voti (circa il 13% del loro elettorato) anche dai non populisti. Insomma, “le persone di destra votano AfD perché è di destra, mentre molti elettori di centro la votano perché è populista”. In questo senso AfD utilizza il populismo come un cavallo di Troia e quelli che la votano solo perché è “contro il sistema”, sulla base della scarsa consapevolezza connaturata alla “ideologia debole” del populismo, si ritrovano a rafforzare contenuti di estrema destra che magari fuori dal contesto populista non condividerebbero.
(Notazione a margine: quest’ultima affermazione dei ricercatori della Bertelsmann parrebbe applicabile a molti di quelli che in Italia hanno votato e votano Cinquestelle).
L’estrema destra in Germania dunque avanza sia perché è di destra sia perché è populista. Ma basta questo doppio registro a dar corpo alle preoccupazioni di chi prevede un’avanzata di AfD fino a diventare il secondo partito sulla scena politica? Ovviamente nessuno ha in tasca la risposta. Qualche elemento di riflessione può venire però dall’analisi scomposta dei suoi bacini elettorali. I suoi punti di forza (tra il 20 e il 25%) toccati nelle ultime elezioni federali sono nei Länder orientali, dove appare prevalente l’aspetto di voto di protesta e di rifiuto del sistema mentre meno evidenti sono le ragioni “politiche”, innanzitutto il rifiuto dell’immigrazione (che all’est è quasi inesistente). Molto più deboli (dal 4 al 10%) sono le percentuali di AfD all’ovest, dove il voto per l’estrema destra sembrerebbe più politico, anche perché qui è molto più problematica la gestione dell’immigrazione. Questa differenziazione è significativa e va misurata anche in relazione ai rapporti demografici tra le due parti della Germania, che in termini di popolazione vedono prevalere nettamente le regioni dell’ovest.
Esiste certamente un pericolo che viene dall’estrema destra politica, in Germania, ed esso è tanto più inquietante per le ragioni storiche che tutti conosciamo. Ma forse ancora più insidioso è il pericolo che viene dal distacco che, anche in Germania, va manifestandosi tra la politica e i cittadini e sul quale fa leva il populismo. Anche questo distacco ha precedenti storici che debbono far riflettere. E la perdita della stabilità politica al centro dell’Europa potrebbe avere conseguenze serie per tutti
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