Ambizioni senza progetto: il M5S ostaggio della tortuosa parabola di Conte

No che non se l’aspettava, Conte, che la bella giostra s’inceppasse senza avvisi. Tutti gli indicatori davano ragione alla certezza coltivata non solo dal leader dei Cinque Stelle che le regionali di Lazio e Lombardia avrebbero definitivamente chiuso il progetto di arrocco ai danni del Pd. Da qualche tempo, il M5S stazionava nei sondaggi appena sopra quel partito, erede del testimone storico della sinistra in questo paese.

Quelle file ingrossavano, mentre il Pd smagriva, tra l’altro stretto in una delle fasi meno attraenti della sua vicenda nel quadro della politica italiana. Pareva che il travaso di linfa vitale si sarebbe concluso con un Pd accartocciato e buono da caminetto e con i cinque stelle “finalmente” al posto di una sinistra storica incenerita. Dovevano essere loro la nuova sinistra, i figli di Grillo e Casaleggio, alla fine di una lunghissima marcia di avvicinamento che ad un certo punto avevano anche abbandonato, sconfitti dalla realtà, fino a quando proprio Conte…

La decisione di far cadere Draghi

giuseppe conte
Giuseppe Conte

Esatto, Conte aveva nei fatti suggerito a Grillo: vuoi vedere che il gioco in cui avete fallito riuscirà a me? E il Fondatore gli aveva nei fatti risposto: mi piaci niente, ma ho i cassetti pieni di apriscatole non usati, non abbiamo alternative e se perdi paghi tu. Così, Conte aveva riacceso il fuoco, decidendo di tagliare la testa al governo Draghi a pochi mesi dalla scadenza elettorale e mettendo una zeppa insormontabile al progetto di saldare tutte le forze antifasciste e progressiste del Paese in vista dello scontro con questa destra estrema: in troppi non vorranno mai avere a che fare con te immediatamente dopo che tu hai, per calcoli tuoi, liquidato un governo di salvezza nazionale in un momento di enorme difficoltà, facendo saltare tutti gli accordi.

Ma è da lì, da questo gesto che il M5S era tornato a correre, svuotando il Pd. Ora, non si capirebbe l’espressione di Conte – tra il livido e l’emaciato – nelle conferenze stampa di queste ore, se non si tenessero a mente questi indimenticabili antefatti. Ecco che le misure della distanza tra le cose attese e quelle accadute sono ben chiare proprio nelle sue parole: “Nessuno suoni la campana a morto per il M5S”, dice ora Conte davanti a un microfono che non suona campane se non le sue, quelle di Conte…

Massì, avrà anche ragione a dire che il suo Movimento non è morto, che le cose potrebbero andar meglio in una consultazione nazionale, che tutto passa, che la partita non è chiusa… Del resto, glielo ha da pochissimo ricordato il leader precongressuale del Pd, Enrico Letta, che è il momento di pensare subito a che fare, se si vuole fare la guerra a questa destra e, finalmente, non al Pd, con o senza “opa”. Uno strattone e un invito.

La scommessa di ridurre il Pd ai minimi termini

Conte ha preferito leggere il messaggio come una sfida urticante e ha subito definito il mite Letta un “redivivo”, uscendo di misura non appena spinto, forse per la prima volta, alle corde. Non solo, pensa anche sia il momento di buttare la responsabilità della sconfitta di democratici e sinistre nel Lazio sulle spalle di uno a caso, il Pd, che, si premura di urlare come da finestra sul mercato, avrebbe “consegnato il Lazio al centro-destra”. Lui che, smarcandosi dall’abbraccio elettorale col Pd, ha provveduto a spianare un’autostrada alla destra proprio nella regione in cui, assieme, si poteva ben sperare di vincere. Sempre lui che in Lombardia ha invece accettato quell’abbraccio sapendo che il Pd non avrebbe mai potuto accreditarsi una vittoria tanto erano impietosi i sondaggi e modestissimo il contributo elettorale che sarebbe venuto dal bacino lombardo dei cinque stelle.

Se non è stata guerra, cosa è stata? Almeno si arrivasse ad una ragionevole scrittura della storia, così com’era avvenuto dopo la caduta del governo Draghi, quando Conte ammise in una intervista che sì, era stato lui a far cadere quel governo. Nota bene: i suoi fedeli mica lo sanno che il loro capo ha sputato il rospo, per cui non perdono occasione di ribadire, con disprezzo e rancore, la vecchia versione, quella secondo la quale non volevano abbattere il governo e che semmai era stato uno a caso, il Pd, a far esplodere la bomba sotto Draghi. Magari fra dieci anni in un’altra intervista ammetterà anche la responsabilità nella perdita del Lazio.

Il fatto è che ha perso forse più lui del partito che dirige e ora sa che deve risponderne dentro e fuori il M5S. In Lombardia, il partito di Conte è sceso sotto il quattro per cento, dopo aver toccato 17,85% nel 2018 e 7,2 nel 2022. Nel Lazio, si son fermati sotto il nove per cento, scendendo dal 22,06 del 2018 e dal 14,8 delle Politiche.

Un partito senza più presa nel bacino del non voto

Beppe Grillo
Beppe Grillo

Ma queste amministrative hanno mostrato anche altro: per esempio che il M5S, benché nato proprio con questo obiettivo, non ha più alcuna presa nel bacino del non voto oggi paurosamente sconfinato. In questa vacanza di obiettivi raggiunti, Conte deve sapersi destreggiare dentro il partito: fin qui ha comandato un po’ quel che gli passava per la testa, finché con sequenze flash riusciva a tenere banco offrendo buoni risultati nei sondaggi ai suoi critici più caratteriali. Ma la pacchia forse è finita, purtroppo non per Meloni, ma per questa gestione politica. Nessuno lo metterà in croce davvero, perché c’è nessuno in grado di farlo con buoni risultati, forse non potrebbe farlo neppure Grillo se non a costo di sacrificare del tutto la sua creatura.

Quindi, probabilmente nulla cambierà in quella casa se non nella qualità delle relazioni interne, dando fiato ad una opposizione che fino ad ora tutto sommato gli ha garantito una disinvolta mobilità.

Fa sapere che attende dalla nuova segreteria del Pd segnali positivi per una ripresa del contatto e, chissà, intanto riflette sulla sua condizione assolutamente fantastica che il fato gli ha garantito. Doveva essere solo un docente universitario e invece, senza preavviso o gavetta, è diventato presidente del Consiglio di una delle grandi potenze della terra con i voti della destra in un governo di destra. Salvini gli ha rotto il giocattolo ed è passato come “vendicatore” sempre a palazzo Chigi, presidente del Consiglio in un governo di centro-sinistra, è diventato capo del partito, ha fatto saltare il governo Draghi spostando, male, la storia di questo paese, ha nei fatti preparato l’avvento dell’estrema destra, ha fatto tutto ciò che poteva fare per impedire alla sinistra di non perdere il Lazio.

Come se dicesse ai suoi investitori: avevate bisogno di un burattino, ma ecco che vi mostro quanto io possa essere a sorpresa interprete e sceneggiatore di questa storia. E annàmo…