Altro che “rivincita della politica”, così Meloni la sta uccidendo

Si può pensarla come si vuole su Mario Draghi e sul suo governo -uscito di scena ormai sei mesi fa-, ma è evidente a chiunque abbia il senso della realtà, l’abisso che lo separa in fatto di affidabilità e competenza dal governo che gli è  succeduto. A Giorgia  Meloni viene giustamente riconosciuto il merito di aver riportato la politica al centro delle scelte di governo. Il problema è quale politica.


La questione viene prima ancora dell’identità, dell’orientamento e del colore che si intende dare a un un governo politico. Anzi questi tratti glieli conferiscono direttamente gli elettori scegliendo partiti e coalizioni alle urne. Ai leader politici spetta poi il compito di indicare gli uomini e le donne che dovranno attuare le scelte e i programmi su cui hanno chiesto i voti. Se è  infatti fuori discussione che governare non possa risolversi in una questione puramente tecnica, è altrettanto evidente che una compagine politica non diventerà davvero classe dirigente se non possiede almeno tre attributi: senso dello Stato, onestà intellettuale e competenza.

Ministri maldestri

Ora è fin troppo facile osservare quanto tutto questo sia stato assente nella vicenda Cospito – Donzelli – Delmastro. Sottosegretario e vicepresidente del Copasir hanno utilizzato maldestramente a fini di lotta politica informazioni che dovevano restare riservate e in qualche modo dovranno essere chiamati a risponderne. Ma la questione ovviamente va ben oltre i due esponenti dell’estrema destra di governo. Non c’è giorno in cui un ministro o un componente della maggioranza non incorra in qualche clamoroso inciampo istituzionale: dal ministro leghista all’Istruzione  Valditara al titolare dell’Ìnterno Piantedosi, per citare i più attivi. Nella lista sta a buon diritto persino il  “tecnico” Nordio che piace tanto ai “garantisti”del Terzo Polo ma sui cui trascorsi garantisti ci sarebbe molto da dire. Si scorrano ad esempio le vecchie cronache giudiziarie sull’inchiesta contro i dirigenti del Pds all’epoca di Tangentopoli, sfociata nel nulla nonostante un forte accanimento da parte dell’ex magistrato, o il record di intercettazioni disposte nell’inchiesta sul Mose:  il suo intervento in Parlamento sul caso Delmastro ha ricordato più gli esercizi di equilibrismo dei dorotei di un tempo che la riflessione di un giurista o di un uomo delle Istituzioni. E non abbiamo visto ancora davvero all’opera il ministro Lollobrigida, o forse non ce ne siamo accorti…

Alla fine, insomma, il tema si capovolge. Se voleva (giustamente) ristabilire il primato della politica Giorgia Meloni rischia di ottenere il risultato opposto. Promuovere un gruppo di ex camerati a ruoli di governo o sottogoverno non vuol dire creare una nuova classe dirigente, ma al contrario produrre nuova diffidenza e lontananza nei confronti della politica. E questo purtroppo è un prezzo che pagheremo tutti.