Alle auto “pulite” non c’è alternativa, ma la destra non lo capisce

Dal 2035 in Europa potranno essere immatricolate solo auto a zero emissioni di CO2, cioè a zero impatto sul clima: l’ha deciso il Parlamento europeo nei giorni scorsi, con 340 voti favorevoli (sinistre, Verdi, centristi) e 279 contrari. È una scelta importante e positiva, un passo significativo nello sforzo dell’Europa per fronteggiare la crisi climatica.

La decisione dei parlamentari europei ha suscitato in Italia molte reazioni ostili, quasi tutte provenienti dalla destra attualmente al governo i cui rappresentanti nel Parlamento europeo hanno votato compattamente contro il provvedimento.

Due gli argomenti più utilizzati per bocciare lo stop alle auto ad alimentazione tradizionale, le cui emissioni contribuiscono in misura rilevante al riscaldamento globale. Argomenti analoghi e ugualmente infondati, aggiungo per inciso, di quelli utilizzati contro la direttiva europea sull’efficienza energetica delle case.

Profonda incapacità

Per riassumerli cito testualmente il ministro dello sviluppo Urso che così ha commentato il bando dal 2035 alle auto che emettono CO2: “il rispetto dell’ambiente è importante”, ha detto, ma non deve entrare in contrasto con gli interessi della nostra industria automobilistica.

“Il rispetto dell’ambiente è importante”: in queste sei parole è concentrata tutta la profondissima incapacità della destra italiana, la più antiecologica di Europa, di capire davvero cosa rappresenti per noi italiani, per noi europei, per noi umani, la crisi climatica.  Il clima che cambia, e che cambia soprattutto a causa dell’utilizzo di combustibili fossili, non è una minaccia “per l’ambiente”, “per il pianeta”. Il pianeta ha vissuto crisi climatiche molto più sconvolgenti di quella attuale e se l’è sempre cavata, tutt’al più al prezzo di qualche estinzione di massa. No, il “climate change” è un terribile problema non per il pianeta ma per noi esseri umani, per il nostro futuro immediato, perché le sue conseguenze – innalzamento delle temperature e dei livelli di mari e oceani, avanzata di deserti e terre aride, moltiplicazione e intensificazione degli eventi meteorologici estremi – comportano, già adesso, costi economici e sociali assai pesanti. Costi, va sottolineato, che ricadono con forza speciale su noi europei e su noi italiani: con il progressivo inaridimento di terre coltivate anche alle latitudini temperate, con la riduzione delle precipitazioni nevose che mette a rischio il nostro turismo invernale, con il fenomeno dei “migranti climatici” dall’Africa che sempre più numerosi cercano salvezza e sicurezza sulla sponda nord del Mediterraneo.

Aumento dei posti di lavoro

C’è poi l’altra questione evocata dalle parole di Urso: vietare l’immatricolazione dal 2035 di auto “fossili” danneggia irreparabilmente gli interessi – vendite, occupazione – della nostra industria automobilistica. Sul punto mi limito a citare uno studio recentissimo del Center for Automotive and Mobility Innovation dell’Università di Venezia. Il Report ha censito 2.400 aziende italiane fornitrici di componenti per l’auto elettrica – oggi la sola alternativa economicamente e tecnologicamente realistica alle vecchie auto a motore endotermico a benzina e diesel -, calcolando che nelle diverse filiere produttive della mobilità elettrica i posti di lavoro italiani, se l’auto elettrica si diffonderà, possono aumentare del 6% entro il 2030.

L’elettrificazione del settore “automotive”, dunque, è al tempo stesso una scelta obbligata per prevenire effetti sociali ed economici sempre più catastrofici della crisi climatica, e una opportunità di innovazione e di rinnovato sviluppo per la nostra economia. Naturalmente, perché tale opportunità si concretizzi servono, nella direzione di una rapida penetrazione della mobilità elettrica, adeguate strategie di investimento da parte dell’industria e adeguate politiche pubbliche. Finora sono mancate le une e le altre. L’industria automobilistica italiana – cioè Fiat ora Stellantis – tra i grandi player dell’”automotive” europeo è quello che ha puntato di meno e più tardi sull’elettrico, e finora non c’è stato un impegno serio, continuo da parte dei governi sul fronte degli incentivi.

Risultati di questo doppio gap? Nel 2022 le immatricolazioni di auto elettriche sono cresciute del 32% in Germania, del 40% nel Regno Unito, del 25% in Francia, del 31% in Spagna, mentre in Italia sono diminuite del 27%.

Insomma, il vero pericolo attuale per noi italiani non è lo stop alla vendita nel 2035 di auto dannose per il clima. È che la politica italiana, in particolare la politica della destra oggi al governo, continui in una totale, miope sottovalutazione del problema climatico come minaccia mortale agli interessi degli italiani.