Alla fine arrivano i demagoghi

Oclocrazia. Dal greco antico ὄχλος, moltitudine, massa e κράτος, potere. Governo della plebe. Attestato per la prima volta in Polibio, indica una forma degenerata di democrazia. Demagogia

Certamente qualcuno si domanderà come mai proprio a questo punto interrompiamo la narrazione dei fatti per trattare della costituzione romana. Per i lettori delle Storie il risultato piacevole e utile sarebbe quello di apprendere come e sotto qual forma di governo i Romani in soli sessantatré anni abbiano vinto e assoggettato quasi tutta la terra abitata, fatto che mai si era verificato precedentemente. Le forme di governo debbono infatti essere giudicate con lo stesso criterio al quale si ricorre per distinguere nella vita privata le persone inette da quelle valenti; chi vuole giudicare rettamente, non le esamina soltanto nei momenti di serenità e tranquillità, ma nelle peripezie, nelle disgrazie e quindi nella prosperità e nei successi, ritenendo che un uomo si possa giudicare provato solo quando abbia dimostrato di saper sopportare magnanimamente e nobilmente i mutamenti radicali della fortuna.

La maggior parte di coloro che hanno trattato di questi argomenti ci insegna che esistono tre forme di governo chiamate rispettivamente regno, aristocrazia e democrazia. A costoro mi pare si possa ben a ragione domandare se ritengano che queste siano le sole, o per Giove, le migliori forme di governo, perché su entrambi questi punti mi sembra non abbiano idee chiare. Evidentemente la migliore forma di governo comprende le caratteristiche di tutte e tre le forme sopra elencate, come abbiamo sperimentato non a parole, ma coi fatti, poiché Licurgo ha organizzato per primo con questo criterio lo stato spartano. E neppure dobbiamo ritenere che queste siano le sole forme di governo, poiché abbiamo avuto occasione di conoscere stati monarchici e tirannici i quali, pur differendo moltissimo dai regni, sembrano avere qualche caratteristica comune con essi. Così i governi oligarchici hanno un numero ancora maggiore di punti di contatto con quelli aristocratici, mentre in realtà differiscono da essi radicalmente; lo stesso ragionamento si può ripetere a proposito della democrazia.

Non si può chiamare regno qualunque monarchia, ma soltanto quella che, riconosciuta per comune volere dei sudditi, governa con la persuasione più che col terrore e la violenza; allo stesso modo non si deve ritenere aristocrazia qualunque forma di oligarchia, ma soltanto quella nella quale governano, in seguito a pubbliche elezioni, gli uomini più giusti e assennati. Similmente non è democrazia quella nella quale il popolo sia arbitro di fare qualunque cosa desideri.

Si deve ritenere che esistano sei forme di governo, cioè le tre che tutti ammettono e che abbiamo enumerato, e tre affini a queste, cioè la tirannide, l’oligarchia, l’oclocrazia. Spontaneamente e naturalmente sorge prima di ogni altra forma la monarchia, dalla quale deriva, in seguito alle opportune correzioni e trasformazioni, il regno. Quando questo incorre nei difetti che sono ad esso connaturati e si trasforma in tirannide, viene abolito e subentra al suo posto l’aristocrazia. Quando, secondo un processo naturale, essa degenera in oligarchia e il popolo punisce indignato l’ingiustizia dei capi, sorge la democrazia. Quando questa sua volta si macchia di illegalità e violenze, col passare del tempo si costituisce l’oclocrazia.

La verità di questa mia affermazione appare chiara a chiunque consideri la nascita, lo sviluppo, la decadenza naturale di ognuna di queste forme; soltanto chi avrà considerato analiticamente l’origine di esse, potrà comprenderne lo sviluppo, la fioritura, la decadenza, la fine e rendersi conto di quando, come e dove ciascuna di esse andrà a terminare.

Così si svolge la rotazione delle forme di governo, processo naturale per il quale esse si trasformano, decadono, ritornano al tipo originario. Considerando tutto questo, chi vuol giudicare della futura sorte dei governi potrà sbagliare sul computo del tempo, ma ben raramente ingannarsi sul procedimento dello sviluppo e della decadenza di ogni singola forma e della loro successione, purché esprima il suo giudizio senza ira e invidia. Secondo questo criterio, passeremo a considerare l’origine, lo sviluppo, la fioritura dello stato romano e quindi la sua inevitabile decadenza: come infatti ogni altro stato subisce questo ciclo, così anche quello romano, che ha avuto una origine e uno sviluppo, naturalmente avrà pure una decadenza.

(Polibio, “Storie”, libro VI, secondo secolo a. C., traduzione di Carla Schick)