Alberto Sordi e Gladio, quel giallo
su un film che non fu mai girato

Sordeide, quarta puntata. Dopo avervi parlato di “Tutti a casa” (1960), “Nell’anno del Signore” (1969) e “Riusciranno i nostri eroi” (1968), veniamo ad un tempo molto più vicino a noi e raccontiamo la storia di un film che non si è fatto. Si sa, i film “non fatti” dei grandi registi e (in questo caso) dei grandi attori a volte svelano cose importanti. Non è azzardato affermare che “Il viaggio di Mastorna” per Fellini, la “Recherche” proustiana per Visconti, il “Napoleone” per Kubrick o il sogno di portare al cinema “Il sergente nella neve” per Olmi illuminano aspetti essenziali della poetica di questi artisti. Gian Piero Brunetta, il massimo storico del nostro cinema, ha dedicato a queste storie un volume – “L’isola che non c’è”, Cineteca di Bologna, 2015 – che si legge come un giallo.

Storia di un film mai nato

Per parlare di un film che Sordi voleva fare e non ha fatto, ci affidiamo invece alla perfetta ricostruzione di Alberto Anile in un libro appena uscito, “Alberto Sordi” (Centro Sperimentale di Cinematografia/Edizioni Sabinae). È un film del quale esistono due documentazioni: un trattamento (una sorta di lungo racconto) intitolato “Omissis”: e fin qui… e una prima stesura incompleta di una sceneggiatura che si intitola – attenzione! – “Gladio”. E a questo punto sappiamo di avervi incuriosito.

Da qui in poi, citeremo spesso Anile ma sarà bene chiarire che dobbiamo quasi tutto alla sua ricerca anche quando non lo citiamo.

Primo dato importante (e significativo): tutte le informazioni su “Omissis/Gladio” non provengono dal pur ricchissimo Fondo Alberto Sordi conservato presso la Cineteca Nazionale. Evidentemente Sordi, che conservava praticamente tutto, non ha inteso conservare alcunché su questo progetto. Tutto ciò che Anile ha ritrovato proviene dagli archivi dello sceneggiatore Furio Scarpelli, e gli è stato messo a disposizione dal figlio di Furio, Giacomo, scrittore e sceneggiatore anche lui. Siamo nei primi anni ’90. Come molti di voi ricorderanno, Gladio esplode il 24 ottobre 1990 quando il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti ne riferisce in Parlamento, costretto da un’indagine del giudice Felice Casson che va all’indietro fino alla strage di Peteano (1972). Si apprende che questa struttura clandestina e paramilitare sarebbe nata nel ’49, con lo scopo di “difendere” il Paese nel caso il PCI fosse andato la potere, e viene diffusa una lista di 622 “gladiatori”. Il caso politico diventa ancora più rovente nel momento in cui il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, difende a spada tratta la liceità di Gladio e comincia le sue virulente esternazioni che lo trasformano nel famoso “picconatore”.

 

Ettore Scola e Furio Scarpelli al lavoro sul copione

Ce n’è d’avanzo perché il cinema appizzi le orecchie, ma l’idea iniziale non è solo di Sordi: «“La Repubblica” annuncia che Furio Scarpelli e Ettore Scola stanno scrivendo un copione, e che Sordi sembra molto interessato a interpretarlo. Intervistato da Maria Pia Fusco, Scola anticipa lo spunto iniziale: “In ‘Omissis’ c’è un signore anziano che è stato gladiatore in gioventù e che trent’anni dopo, quando il caso esplode, riflette su se stesso e sul proprio passato”» (Anile, p. 237). Oggi, dopo altri trent’anni, Giacomo Scarpelli rievoca: «L’idea di “Gladio” venne semplicemente perché all’epoca se ne parlò. In famiglia avevamo consuetudine con Sordi, era un progetto nato insieme a lui. Allora lavoravamo ancora con metodi redazionali; oltre a me, che davo da tempo una mano a papà, c’era Paolo Virzì, che era stato suo allievo al Centro Sperimentale. Sia Paolo sia io scribacchiammo qualcosa di “Gladio”. In seguito, poiché mio padre era aduso a scrivere anche due-tre copioni contemporaneamente, Paolo e io fummo convogliati su “Cravatta a farfalla” (altro progetto poi non realizzato, ndr), mentre “Gladio” l’elaborarono papà ed Ettore, che infatti firmarono il trattamento» (Anile, p. 238).

Entrambe le stesure prevedono il 70enne Alberto Sordi nei panni di un tranquillo professionista borghese che in gioventù è stato un “gladiatore” e poi se n’è praticamente dimenticato (in “Omissis” è un dentista, in “Gladio” un commercialista). Poi scoppia il caso, l’uomo viene a sapere che il suo nome è nella lista dei 622 e fa di tutto per farlo cancellare. Anile cita, dal secondo copione, un monologo che Sordi dovrebbe recitare da solo, in macchina, imbottigliato in un ingorgo, mentre nessuno lo sente: «Sì, ho fatto parte di quel branco di scalzacani. E allora? Intendo stabilire due definitivi punti fermi. Uno! Non ho certo taciuto per vergogna! Ho taciuto perché questo mi è stato imposto da gerarchie responsabili sollecite della sicurezza nazionale anzi diciamo europea, anzi, occidentale! Io prima sono occidentale, poi romano e poi italiano! Questo ognuno farebbe bene a tenerselo a mente. Due! Aderii con animo onesto e leale! Adesso aver fatto il proprio dovere viene considerato dalla pubblica opinione un evento indecoroso?» (Anile, p.239). A un certo punto il personaggio racconta una barzelletta che racchiude in modo appena appena greve il senso complessivo della vicenda: «Ci sono due mosche posate su una merda. Arriva una terza mosca e dice: volete sentire una barzelletta? E le altre due: se è sporca no, stiamo mangiando».

 

La gaffe sulla nostalgia per il fascismo

Poi succede una cosa. Nel novembre del 1991, durante una conferenza stampa, Sordi risponde in maniera un po’ avventata a una domanda di Giovanna Grassi, giornalista del “Corriere della Sera”. In poche parole, parlando della nostalgia per la propria infanzia (cosa che vale per tutti) la sovrappone a una vaga nostalgia per il fascismo. E si lancia in questa tirata, puntualmente riportata sul “Corriere” del 9 novembre 1991: «Oggi si parla di interclassismo e poi il razzismo dilaga dal Nord al Sud. Noi ragazzi, i balilla, vestivamo in divisa ed eravamo tutti uguali, senza differenze di classe. E io col fascismo ho fatto sport e divertimento e ho visto il teatro dei burattini e nelle palestre in borgata non c’erano le siringhe per terra. La misura d’uomo era diversa persino nel modo di costruire le borgate con la piazza al centro come in un paese. […] Durante il fascismo ho imparato […] l’educazione e a stare in silenzio se mio padre […] doveva dormire il pomeriggio. Anche noi balilla conoscevamo per tante cose la parola “dissentire”, ma essere di parere diverso oggi vuol dire alzare i tacchi da una trasmissione dove si è accettato d’andare. Libertà e disordine oggi vanno sottobraccio. I problemi crescono. Una volta i problemi si risolvevano o, almeno, c’era qualcuno che provava a risolverli. Sì, c’era anche l’orgoglio di essere italiani» (Anile, p. 240).

Scoppia, ovviamente, un putiferio. Il giorno dopo, 10 novembre, Dario Formisano raccoglie su “l’Unità” una serie di reazioni. Ce n’è davvero per tutti, e da tutti! Lizzani (che a questo punto è indicato come possibile regista): «Sordi è fatto così, più che di elogio del fascismo parlerei di visione qualunquistica della vita». Monicelli: «Nessuna sorpresa. Alberto è sempre stato fascista, magari senza essere reazionario in senso stretto». Scola: «Conosco bene Alberto, non credo assolutamente che rimpianga i tempi in cui anche i bambini erano costretti a vestirsi da balilla. Rimpiange solo i suoi dieci anni».

Due giorni dopo, Sordi va a “Domenica in” e incalzato, si fa per dire, da Pippo Baudo pensa di chiudere la faccenda raccogliendo, indirettamente, l’assist dell’amico Scola: «Una giornalista mi ha chiesto: lei da bambino era felice? E io: certo che ero felice, ero un bambino e, dunque ero felice, un po’ come lo sono tutti i bambini. E la giornalista: ma quando lei era bambino c’era il fascismo. E io: sì c’era il fascismo, e difatti giravo vestito da balilla, come tutti». Finita lì? Sì, in tutti i sensi. Sordi tutto voleva, meno che esser tirato per la giacchetta in chiave politica. Dopo questa bufera mediatica, forse rendendosi conto di aver pestato quella stessa cosa che le due mosche mangiavano nella succitata barzelletta, pian piano fa sparire “Gladio” dall’orizzonte. Non senza un dettaglio che da un lato è il più divertente, dall’altro è lievemente inquietante. Lo lasciamo raccontare (sempre nel libro di Anile) a Giacomo Scarpelli, che è rimasto l’unico testimone.

«“Sono ormai passati ben più di vent’anni”, mi racconta divertito Giacomo Scarpelli, “e quindi il segreto di Stato si può mettere da parte. Sordi raccontò: ieri Cossiga m’ha telefonato dicendomi: caro Sordi, lei non sa quante ne avrei da raccontare su Gladio! Una volta mi venga a trovare. Sordi lo riferì a papà e a Ettore, aggiungendo però che ‘di questa telefonata non dovete fare parola con nessuno’. Poi la cosa finì lì, Sordi non andò mai a trovare Cossiga e il progetto non si è realizzato”» (Anile, p. 240).

O chissà (ma questa è una nostra illazione), magari Sordi andò a trovare Cossiga. Che ne sappiamo? E il progetto, appunto, non si è realizzato.