Pd, una costituente
per creare un soggetto
aperto ed orizzontale
I radicali cambiamenti internazionali – tra i quali anche l’elezione di Joe Biden alla Presidenza degli Stati Uniti – e nazionali di questi due anni riaffermano l’urgenza – oggi ancor più stringente rispetto al 2016-2018 – di una iniziativa di grande respiro che rilanci su basi nuove le ragioni del Pd, introducendo delle discontinuità radicali. Noi “Democratici” dobbiamo oggi rigenerarci.
Il mondo, l’Europa e l’Italia non sono più quelle del 2008 e nemmeno più quelle del 2018, quando si concluse l’esperienza dei governi a guida PD. Serve un grande confronto popolare e culturale di idee. Ed occorre un soggetto politico finalmente e davvero aperto centrato sulle idee e sulle persone, sulla loro libertà e creatività, dentro comuni valori e regole comportamentali condivise. Serve spostare il centro del confronto interno ed esterno, nel Partito e nel Paese, dal tema della selezione dei leader a quello delle idee, dei valori, dei programmi.
Se vogliamo catalizzare nuove energie occorre mostrare dei cambiamenti significativi. Servono fatti nuovi che traggano ispirazione e sviluppino quanto già in parte esiste nei nostri nativi principi ma che non abbiamo adeguatamente coltivato.
Tra Stato e società
La sinistra ha svolto in 150 anni di storia una funzione fondamentale canalizzando sempre più utilmente ai fini della crescita civile e sociale, la fisiologica alterità che un sistema capitalistico produce al suo interno. Per farlo il movimento socialista e democratico ha tentano diverse strade, si è drammaticamente diviso e ricomposto, rigettando esperienze totalitarie e abbracciando i valori universali della democrazia e, soprattutto, collocandosi sempre a cavallo tra Stato e società, evocando una prospettiva socialista e democratica ma lottando sempre per il salario, la democrazia ed i diritti.
Oggi, noi e tutta la sinistra europea, non siamo né abbastanza Stato, né abbastanza società. Mentre l’alterità che continua a prodursi in seno alle nostre società – che restano capitalistiche e soggette oggi più di ieri alle selvagge leggi della dialettica – prende altre strade: quelle del sovranismo anti-europeo, dell’integralismo sociale.
Il progressivo venir meno della forza cogente dello Stato nazionale come punto di esercizio della forza per riequilibrare le distanze sociali (su cui la sinistra ha basato la sua azione per rendere meno ingiusta la società) e la ancora fragile affermazione di una piena e democratica “statualità” europea definiscono il profilo di una contemporanea “crisi organica” come Antonio Gramsci chiamò quei momenti nei quali “un vecchio ordine tramonta ma un nuovo ordine non si afferma”. Qui sta la ragione fondamentale della debolezza della sinistra europea.
Dobbiamo, per questo, percorrere la strada della costruzione di un Nuovo Ordine democratico europeo, l’unica prospettiva ideale che può restituire alla sinistra, in questo tempo storico, un orizzonte che progressivamente sostituisca, integrandolo, quello ormai sfocato del “socialismo”. Oggi è possibile immaginare questo cammino sulla base di nuove condizioni e di nuove politiche di sviluppo che mettano al centro la relazione tra sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale. Un’Europa democratica del lavoro, dei diritti, che davvero rappresenti una speranza e non una minaccia per le giovani generazioni.
Una fase costituente
Questo dovrebbe essere il centro di una “fase costituente” perché qui è il cuore della nostra funzione storica che ha come avversario, duraturo e mutante al tempo stesso, il populismo.
Un nuovo inizio per i “Democratici” comporta un superamento definitivo dell’attuale forma-partito che in nulla assomiglia né agli intenti originari evocati al momento della nascita del PD, né alle migliori stagioni dei grandi partiti di massa che hanno dato vita e costruito la democrazia italiana nel secondo dopoguerra.
Si è esaurita una forma di organizzazione della partecipazione democratica che non può più essere nuovamente riproposta se non in forma caricaturale ed occorre sviluppare l’esperienza del PD in un più ampio perimetro di realtà democratiche, civiche ed associative che rappresentano il reale alveo, storicamente determinato, della partecipazione civile e che necessita di un raccordo generale che indirizzi in una visione condivisa ed in valori condivisi le innumerevoli esperienze che oggi animano con proprie forme organizzative strutturate, il tessuto democratico del Paese.
Come nel dopoguerra
Si tratta di una innovazione senza precedenti che tuttavia ricorda, in una certa misura, quanto avvenne nell’immediato dopoguerra quando i partiti antifascisti usciti dalla clandestinità si trovarono difronte alla necessità di organizzare ed avvicinare nuove generazioni, nuove sensibilità che non erano più quelle dell’Italia liberale e pre-fascista in cui i partiti democratici avevano agito fino al 1924.
Fu necessario cambiare radicalmente la natura di organizzazioni politiche basate su quadri in organizzazioni di massa, sviluppare forme di collateralismo e di movimento che andassero oltre la consistenza organizzata degli stessi partiti.
In alcuni casi fu necessario modificare la stressa denominazione dei partiti, come nel caso della Democrazia Cristiana che non si chiamò più Partito popolare o come il Partito Comunista che fu vicino ad assumere una denominazione non direttamente collegata al mondo comunista.
I Partiti che ne nacquero erano dei “Partiti” ma avevano un carattere assai aperto, tali da configurarli come i punti di raccordo di vasti movimenti di opinione; il sopraggiungere della “guerra fredda” congelò le forme organizzative che tuttavia restarono vive e pulsanti forme di democrazia.
Oggi, in qualche modo, siamo difronte ad un passaggio simile per quel che riguarda la necessità di dar vita ad un soggetto politico che raccolga più efficacemente istanze, sensibilità, linguaggi, forme comunicative e valori di una società che in pochi anni ha vissuto una completa rivoluzione nel rapporto con la politica e le istituzioni.
Via la parola “Partito”
Tale radicale cambiamento non può, per essere credibile e visibile, non comportare anche una rivoluzione estetica e di denominazione che, senza mettere in discussione i valori fondativi del PD, li esalti mettendoli invece al centro della propria identità, accentuando nello stesso tempo il carattere di apertura e permeabilità e cancellando ogni residuo di burocratismo.
La rimozione del termine “Partito” non è dunque un banale fatto nominale, una furbizia propagandistica, ma serve esattamente a sancire un “nuovo inizio”, che punti davvero a coinvolgere le molteplici energie civiche ed associative, individuali e collettive che si muovono nella società e che pur condividendo ideali e principi comuni non riescono ad individuare l’attuale PD come un soggetto davvero aperto, permeabile ed utile e stabilisca le condizioni per rigenerare il tessuto associativo del “campo democratico” assai innovative rispetto alle pratiche “partitiche” anche più avanzate.
Nessuno potrebbe avere interesse a partecipare ad un processo di effettiva rifondazione politica, programmatica e ideale, pur come sviluppo dell’esperienza del PD, con gerarchie già date. Occorre dunque offrire un terreno comune e davvero aperto, senza riserve, nel quale ognuno possa ritrovarsi e sentirsi in pari grado con tutti.
Questa precondizione appare ineludibile ed implica una rinuncia alle rendite di posizione e di potere attualmente cristallizzate nel Pd, le quali rappresentano il vero ostacolo ad un reale e non virtuale percorso di rigenerazione politica.
Un soggetto di cittadini elettori
Occorre finalmente dare avvio alla “fase costituente” – da più parti invocata e evocata – nominando una Commissione di alto profilo ed autorevolezza, composta da uomini e donne con esperienza politica, intellettuale, artistica e scientifica ed espressione del più ampio spettro del mondo civico e associativo, che lavori per redigere in un tempo congruo un “Documento fondamentale dei Democratici per l’Italia e per l’Europa”, il quale possa essere discusso, integrato ed emendato in grandi assemblee popolari aperte nelle città, nei luoghi di lavoro e di studio, con cittadini e realtà organizzate di non iscritti o non organicamente legate al Partito Democratico. Tali assemblee potranno essere i momenti per costituire un nuovo “Albo dei Democratici” sulla base della registrazione dei partecipanti, che punti ad allargare e rinnovare la base associativa del nuovo soggetto politico.
Una seconda Commissione, selezionata con analoghi criteri di apertura, nominata dalla stessa Direzione dovrebbe accompagnare la “fase costituente” con funzioni di vigilanza e redigere un regolamento della “fase costituente”.
I Democratici dovranno essere un soggetto politico aperto, di “movimento”, federato e orizzontale, composto di cittadini elettori che potranno partecipare alla scelta non solo dei leader e dei candidati alle cariche elettive e di direzione del movimento democratico, ma anche alle scelte programmatiche, ideali di valore fondamentale ed identitario del soggetto politico democratico.
Tale “Fase costituente” se condotta correttamente ed in modo davvero aperto può rappresentare non soltanto l’occasione per una effettiva rifondazione del Partito democratico ma anche un potente motore di mobilitazione di energie partecipative, di consenso e di mobilitazione elettorale.
Per un risveglio dei democratici
Per interpretare una nuova stagione occorre aprire una “fase costituente” che sperimenti da subito e faccia crescere nel vivo di un vasto confronto popolare, sul futuro della sinistra democratica e del Paese, un soggetto politico nuovo per i Democratici, risvegli coscienze e voglia di partecipare, faccia sentire tutti ai nastri di partenza senza gerarchie predefinite, renda tutti coloro che vogliono battersi protagonisti nella misura necessaria e convinti di contare; determini, per questa via, le condizioni di un moto democratico e di un risveglio elettorale della opinione pubblica democratica, oggi sopita e sfiduciata.
Sono tre le chiavi indispensabili per incamminarci su un nuovo sentiero lungo il quale condurre la nostra vasta comunità di donne e di uomini e per riconquistare o conquistare un rapporto fecondo con una generazione di italiani che in questi dieci anni si e formata o va formando i tratti essenziali della sua coscienza civile, ma non ha conosciuto l’esperienza dei “partiti di massa”: formazione e saperi, comunicazione e partecipazione.
Dovremo trovare le occasioni per dare un segnale ai milioni di donne e di uomini che credono in futuro diverso e cercano uno strumento forte e adatto a questi tempi per dare forza ai loro diritti.
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