Afghanistan, le speranze tradite degli scienziati per la pace

Con molta esitazione e incertezza, provo a mettere per scritto un primo tentativo di riflessione sulla tragedia afghana, non tanto per capire cosa sta succedendo e cosa potrà succedere, quanto per ricordare quello che abbiamo pensato possibile e sperato negli ultimi anni, testimoniato da un indimenticato amico e maestro che ci ha lasciati, Pietro Greco.

Mi sembra evidente che oggi sia chiaro che le politiche di intervento armato, da chiunque e ovunque messe in atto, siano portatrici di eventi funesti. Gli Stati Uniti hanno replicato in Afghanistan errori già commessi nel passato in Vietnam, in Cambogia, in America Latina. Migliaia di miliardi di dollari investiti per vent’anni in Afghanistan in varie forme di intervento armato, senza alcuna significativa ricaduta sulle condizioni di vita della popolazione civile (scuole, ospedali, infrastrutture…).

Militari Usa in Afghanistan

Nel nostro povero Paese c’è chi proclama sia necessario rifiutare accoglienza agli uomini afghani perché potenziali terroristi, in Grecia e Turchia si costruiscono muri per impedire l’ingresso nel Paese di rifugiati afghani: ancora una volta il male e la stoltezza stravincono.

Le speranze degli scienziati per la pace

Sembra impossibile, oggi, che molti abbiano sperato in soluzioni pacifiche, delle quali, forse, molti non hanno mai nemmeno avuto notizia. Il 4 marzo del 2020, poco più di un anno fa, Pietro Greco pubblicava su strisciarossa un articolo dal titolo “Svolta a Kabul, il ruolo degli scienziati per la pace e del fisico Cotta Ramusino”. Le parole di Pietro erano, come sempre, perfette e qui mi limito a riportarne alcune. Aggiungerne sarebbe stolta presunzione.

“Molti lo hanno definito un accordo storico. E per una volta l’aggettivo non sembra abusato. Ci riferiamo a quello per la pace in Afghanistan raggiunto lo scorso 29 febbraio a Doha tra i rappresentanti dei Talebani e quelli degli Stati Uniti. L’accordo, se verrà rispettato, porrà fine a una guerra lunghissima, 18 anni, sanguinosa, a tratti dimenticata e, malgrado l’estrema asimmetria soprattutto tecnologica delle forze in campo, senza né un chiaro vincitore né un chiaro perdente.
Ebbene questo accordo – come ricorda in una nota Francesco Lenci, membro del Pugwash Conferences Council – è frutto anche della diplomacy science, dell’azione diplomatica di scienziati per la pace, che vede protagonista le Pugwash Conferences on Science and World Affairs e, in particolare, del loro tenace Segretario generale, il fisico italiano Paolo Cotta Ramusino.

Stretta di mano dopo la firma degli accordi di Doha tra Usa e talebani

La notizia è sfuggita ai più. Ma quella delle Pugwash Conferences e di Cotta Ramusino è una storia che ancora una volta dimostra come la scienza possa essere un ponte di pace e di come gli scienziati italiani abbiano un ruolo da protagonisti in queste azioni.
Raccontiamola, dunque, questa storia. Le Pugwash Conferences nascono nel 1957 sulla scorta del Manifesto firmato due anni prima da Albert Einstein e Bertrand Russell. Prende il nome dalla cittadina canadese dove si svolse la prima conferenza. È costituito da un gruppo internazionale di scienziati che, senza clamore, si presta ad analizzare i grandi (e piccoli) conflitti in atto nel mondo e si offre come strumento tecnico terzo per cercare di risolverli. I meriti acquisiti sul campo dalle Pugwash Conferences sono tantissimi. E la miglior sintesi per renderne conto è ricordare che hanno ottenuto il Premio Nobel per la Pace nel 1995.

In questi ultimi diciotto anni le Pugwash Conferences sono state attive in molti settori. Ma Paolo Cotta Ramusino con una visione utopica considerata al limite dell’impossibile, una forte determinazione e anche con notevoli capacità diplomatiche ha perseguito l’obiettivo di riportare la pace in Afghanistan nell’unico modo possibile, facendo dialogare nemici che non si riconoscevano l’un l’altro: americani e talebani.
Gli accordi di Doha di qualche giorno fa sono iniziati nel 2015, grazie a Paolo Cotta Ramusino, con una serie di incontri che si sono tenuti sia nella capitale del Qatar sia a Kabul, la capitale dell’Afghanistan. Hanno conosciuto momenti alti e bassi, ma infine si sono conclusi, speriamo definitivamente.

I termini dell’accordo sono noti: i talebani smettono le azioni di guerra da questo momento in poi, mentre gli americani e i soldati degli altri paesi della NATO inizieranno un ritiro graduale secondo un calendario concordato. I talebani si impegnano inoltre a raggiungere un accordo politico con l’attuale governo di Kabul. La strada da percorrere è ancora lunga e irta di ostacoli, ma ora anche l’Afghanistan può realisticamente pensare a un futuro di pace.

Gli accordi di Doha mediati anche dalle Pugwash Conferences e il successo personale di Paolo Cotta Ramusino non sono, dunque, fulmini a ciel sereno. Non per questo sono meno brillanti”.

Dell’accordo storico al quale si riferiva Pietro dettero notizia il New York Times e il Wall Street Journal. Oggi il cielo sull’Afghanistan è reso luminoso solo da una tempesta di fulmini.