Afghanistan,
il giro di vite sulla
patente alle donne
Ben accessoriate, burka di serie, guida facile e senza sorprese. Unico neo l’autonomia, di appena 72 chilometri. Purtroppo le donne afghane non possono ricaricarsi plug-in e devono limitarsi – in mancanza del wali, il tutore, cioè un uomo della famiglia che le accompagni – a viaggiare da sole entro un raggio di 45 miglia al massimo, come testualmente raccomandato da un dicastero del nuovo governo degli studenti coranici che già a partire dal nome dà qualche brividino: ministero della Promozione della Virtù e della Prevenzione del Vizio. Per un ottimista a tutti i costi sembrerebbe quasi un passo avanti, da zero a settantadue chilometri in pochi secoli. Virtù e Vizio, universi quanto mai cangianti, labili, discutibili e che però la lettura iperislamica dei talebani ingabbia in criteri comportamentali, ai nostri occhi, surreali, oltre che profondamente, dolorosamente lesivi della libertà delle donne.
L’Arabia Saudita pare un paese progressista, al confronto
In confronto, l’Arabia Saudita dell’Islam wahabita, pur in vigenza della sharia (la “retta via” lastricata di norme e obblighi comportamentali, giuridici, politici) sembra un dissoluto sabba eretico, con le donne autorizzate a guidare – non si hanno notizie di limiti nella cilindrata delle relative auto -, a lavorare in sempre maggior numero, a scalare, partendo finora dai gradini meno “sensibili”, la gerarchia politica. Pare addirittura possano azionare liberamente il frullatore, in assenza del wali. Merito del principe Mohammed bin Salman, che quando non gli vengono i cinque minuti e fa tagliare a pezzettini i giornalisti scomodi, trova il modo di innescare timide e però effettive aperture nell’orizzonte di vita femminile. Una fioca luce e lontana dalla realtà del paese profondo.
Da sempre, proprio ciò che attiene all’habeas corpus degli umani è stato disciplinato con meticolosità paranoica da religiosi, censori, teologi ed ermeneuti dei testi sacri dimentichi dell’ammonimento di San Paolo nella seconda epistola ai Corinzi: “Littera enim occidit, spiritus autem vivificat”, “la lettera infatti uccide, invece lo spirito la vivifica”. Insomma, il letteralismo rinsecchisce la parola sacra, che va interpretata e illuminata dallo spirito: del bene per tutti e pure dei tempi, viene da dire, altrimenti la Chiesa cattolica sarebbe ancora ferma al misoneista e restauratore papa Leone XII che abolì l’obbligo della vaccinazione contro il vaiolo per compiacere la “plebe”, guadagnandosi, qualche anno dopo, un sonetto del Belli, che reso dal romanesco, suona così: “Sia benedetto papa Leone, e fin che ce n’è Dio li consoli: ha liberato i nostri figli da queste inoculazioni dei virus. Vedi che bell’idea da massoni, attaccargli per forza il vaiolo per far loro risvegliare le convulsioni e storpiarceli poi come scorpioni! Dio ha affidato a Madre Natura queste cose, con l’obbligo preciso di mandare chi vuole al cimitero. E guarda oggi, invece! Per salvargli il viso da due cicatrici si toglie a una creatura la fortuna di guadagnarsi il Paradiso”.
L’oscurantismo antiscientifico se la prende coi vaccini
Ogni riferimento all’oscurantismo antiscientifico dei nostri tempi pandemici non è casuale. E non manca un legame diretto coi talebani, già da alcuni anni impegnati a eliminare fisicamente i vaccinatori antipolio, ritenuti subdoli agenti dei miscredenti occidentali, i kāfirūna, che con la scusa del vaccino punterebbero invece a sterilizzare i bambini musulmani. A costituire, storicamente, secolarmente, il bersaglio in carne e sentimenti dei pregiudizi e delle “regole” dettate da Dio, naturalmente le donne, primo obiettivo di divieti, subordinazioni all’uomo in famiglia e nella società. Un trattamento speciale per esseri in confidenza col demonio (cfr streghe, Inquisizione e, con ottime referenze di crudeltà psichica e fisica, il domenicano spagnolo Tomás de Torquemada), inadeguate per celebrare la nostra messa, adibite dalla Chiesa a funzioni ancillari, col timbro di inferiorità rispetto agli umani dotati di pisello, secondo il Corano (Sura 4 “Le donne”, verso 34), che dice: “Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre”. Hanno chiesto le donne afghane scese in piazza: ok, ne potremmo parlare un attimo?
Mai dimenticare, mai, che non è il dettato religioso in sé a “costituire”, inchiodare in un dogma, la declassazione/vessazione delle donne. Su ogni “parola di Dio” e dei suoi rappresentanti grava il macigno delle consuetudini, della tradizione, dei metodi di produzione, dei percorsi storici, delle condizioni climatiche e della riproduzione umana. Del conflitto tra Conservazione e Modernità, che, nel mondo globalizzato, è attrito tra società arcaica contadina regolamentata anche da sciamani e sacerdoti e società capitalistica a dominante industriale che deve “liberare” l’uomo per il lavoro dai lacci del passato al fine di disporne col massimo agio e profitto. Importare democrazia in Afghanistan, operazione di potenza e intrapresa economica marchiata Usa e Occidente, non è stato possibile, troppo ampio il baratro, eminentemente culturale (di là una società fieramente patriarcale, di qua una società “senza padri”), troppi gli eccidi scambiati per caccia ai terroristi. Che se poi volessimo far dilagare la democrazia su terreni in teoria più fertili, avremmo tanto da lavorare qui da noi, in Europa. Ricordando, una volta messo in archivio qualsiasi complesso di superiorità, che in Germania le donne votano dal 1918, in Italia dal ’46. E che se la parità di genere è un concetto acquisito, per quanto in viaggio a bassi regimi, alte montagne abbiamo da scalare in nome della non discriminazione di qualsiasi benedetta diversità.
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