Addio a Serena Palieri, voce libera e femminista de “l’Unità”
Serena Palieri se ne è andata. Con un pezzo della mia vita personale e professionale. Dopo una malattia nascosta con pudore e discrezione. Come era nel suo carattere deciso, ironico ma impenetrabile. Con lampi di dolcezza e di ascolto inattesi.
Maria Serena Palieri, Sirena la chiamavamo, collega e giornalista a l’Unità. Eravamo totalmente all’opposto: lei puntigliosa e stilè, io sbrigativo e insofferente. Lei letterarata e avida lettrice di narrativa, io filosofo e avido lettore di saggistica. Lei femminista, io dapprincipio ostile a certo catechismo femminista. Ma poi finii anche per via sua e di Letizia Paolozzi con l’intervistare e recensire Muraro e Irigaray! Le divinità filosofofiche del femmismo. E non al telefono ma vis-à-vis. A Milano e in redazione.
Tra le pagine culturali de “l’Unità”
Insomma: spigolosi l’un l’altra, il destino ci volle insieme alla Cultura a far da vice in tandem. Il matrimonio lo volle con perfidia Bosetti che ci stimava e si fidava di noi, lui che in quel 1994 era a capo della Cultura a Roma e faceva da vice direttore su e giù con Milano. E ci acconciammo alle “nozze” controvoglia, per volontà di Veltroni Rex. Un disastro. Liti, ripicche, dai titoli alle corte, alle vacanze, ai turni per chiusure e riunioni. Vi lascio immaginare.
Poi piano piano ci incontrammo e ci stimammo indovinando a vicenda la misura. La condivisione. E lei era anche una signora piacevole, e corteggiata: Wladimiro Settimelli gran tombeur impazziva per lei: “Ma dai – mi diceva – guarda quanto è chic e signora. Non prenderla di punta”. Aveva ragione il vecchio Sandokan. Maestro, reporter e storico della fotografia. Anche lui se ne è andato!
Cominciai a guardarla in altro modo. Con gentilezza e galanteria senza mai imbarazzarla. Di contro avvenne il reciproco. Anche lei prese a guardarmi con affetto e a consultarmi su questo e quello. “Bruno ma in filosofia Techne che cosa significa propriamente? E va con la maiuscola senza accento?”.
Fu una bella esperienza. Imparare a convivere lavorando senza rinunciare a se stessi. Sfogliava scrittori e scrittrici con maestria, fedele a una vocazione lettararia da cui non defletteva allora pur nel letto di Procuste delle pagine da fare.
Ne nacque un rapporto di fiducia fraterno, non scevro di confidenze alla fine, anche perché scoprimmo di avere in comune l’attenzione alla psicologia e alla psicoanalisi. Lei era piuttosto aristocratica, ironica, piena di amiche e solitaria. Amante dei gatti e del riserbo e con amori inconclusi e celati. Distillava la sua esperienza di vita con garbo. E intuivo conflitti familiari e una certa solitudine che lei gestiva con eleganza e disincanto. Rammento però che a un certo punto iniziò a divertirsi con me, e la sua risata squillante a certe mie battute era un gran premio per me. L’avevo conquistata.
Il mondo è ancora giovane
In seguito fu “inviata”- come me poi suo caposervizio – e con delega agli scrittori e alle fiere. Era disponibile e pronta e ci trovavamo a meraviglia nel combinare da lontano le pagine e gli intervistati. E poi fu autrice di saggi intelligenti. Tra cui ricordo Radio Cairo. L’avventurosa vita di Fausta Cialente in Egitto (Donzelli, 2018), Donne nel Sessantotto (Rizzoli, 2018). E anche Il mondo è ancora giovane (Il Mulino, 2018). Di recente, sulla scia di De Masi aveva incominciato a interessarsi ai fenomeni del post industriale e dell’automazione. Il che, oltre a stupirmi, dava l’idea di quanto fosse curiosa e aperta a un mondo nuovo che scavalcava la nostra generazione. Appunto, per lei malgrado lutti e sconfitte , “il mondo era ancora giovane”.
Era infine era anche molto coraggiosa. E mi sorprese alquanto allorché, dopo aver salutato nel 2008 con gioia e curiosità l’avvento di Concita De Gregorio “in quanto donna” a l’Unità, non esitò alfine a manifestarle in forma dura e diretta tutto il suo dissenso personale sul tipo di giornale mini e sullo stile umano di quella direzione. E lo fece in riunione in modo inatteso e tutto a suo discapito. Perciò ciao Sirena, come cominciò a chiamarti Nicola Fano: spiace non è esserti stato vicino nella malattia. Non sapevo nulla. Ma non mi avresti detto nulla. E grazie per avermi sopportato.
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