Quando le idee fanno politica
Un ricordo di Giorgio Galli

Negli ultimi tempi gli era venuta un’idea intrigante. Avrebbe voluto ricostruire il processo a Gaetano Bresci, l’anarchico che all’alba del ‘900 aveva ucciso a Monza re Umberto I per vendicare le vittime delle cannonate di Bava Beccaris, nei moti di Milano del 1898. Giorgio Galli, scomparso all’età di 92 anni a Camogli, era sempre pieno di idee e di progetti, capace di sollecitare collaboratori e amici a ricercare, studiare, perseguire strade originali, rinunciando ai percorsi più facili e scontati.

Conosciuto soprattutto per il suo saggio Il bipartitismo imperfetto, che dagli anni Sessanta in poi ha influenzato l’analisi del sistema politico bloccato in Italia, e poi per la ricerca sul terrorismo, sulla nascita, l’evoluzione e le strumentalizzazioni del “partito armato”, Galli è stato per oltre trent’anni docente di Storia delle Dottrine politiche all’Università Statale di Milano, scuotendo con altri l’aria del conformismo, attraversando i mari procellosi della contestazione studentesca, della metamorfosi sociale di Milano, osservando e spiegando le contorsioni politiche e istituzionali di questo nostro malmesso Paese. E’ stato un punto di riferimento per migliaia di giovani studenti che guardavano al cambiamento come aspirazione di vita, in una lunga, pur faticosa stagione della Statale dove insegnava il filosofo della Scienza il comunista Ludovico Geymonat, dove Franco Fergnani riempiva le aule con il suo corso sulla “Filosofia della Prassi” nei Quaderni di Antonio Gramsci, accanto a storici come Franco Della Peruta e Franco Catalano e tanti altri.

Studioso dagli interessi larghissimi e imprevedibili come certe fantasie delle sue camicie, dall’esoterismo nel Nazismo all’influenza dei servizi segreti nelle democrazie fino al dominio predatorio del capitalismo tecnologico, Galli aveva una personale “cifra”, un suo stile, verbale e scritto, con cui si relazionava con il pubblico dei lettori e con i suoi studenti. Mostrava un’elegante propensione, né elitaria né narcisistica, a infrangere la sacralità accademica magari pubblicando recensioni di libri su “Astra”, la rivista degli oroscopi. La sua capacità di raccontare e sviscerare i fatti della politica e dell’evoluzione sociale, di proporre contiguità e influenze di elementi e fatti apparentemente distanti nella costruzione storica, è stata forse la chiave per guardare al nostro tempo da un angolo originale, con uno sguardo mai banale né scontato. Ha scritto molti saggi, ha collaborato con riviste, settimanali e quotidiani. Mi piace ricordarlo qui come collaboratore dell’Unità, all’inizio del nuovo millennio, prima con una periodica “Lettera da Milano” e poi con altri commenti e interventi, anche sulla storia del “partito armato” che gli provocò il rimbrotto di qualche magistrato poco disponibile ad accettare ricostruzioni e giudizi differenti dalle sentenze ritenute intoccabili come i Vangeli. Galli scrisse un messaggio per ringraziare l’Unità.

Mi piace, infine, rammentare come di fronte alla devastante tendenza della sinistra italiana ad autoflagellarsi, a dividersi, a distruggere tutto quello che ha costruito nel tempo per rincorrere modernità assai discutibili, Galli abbia sempre usato parole illuminanti, convincenti, in difesa di un patrimonio ideale, sociale e politico che non può essere liquidato come un saldo invernale.