A volte ritornano, il figlio dello Scià vuole riprendersi il paese degli ayatollah
Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco che si è svolta dal 17 al 19 febbraio con la partecipazione di alcuni dei principali leader mondiali non è stato, comprensibilmente, invitato alcun rappresentante del regime iraniano. Era però presente Reza Pahlavi, figlio in esilio dell’omonimo Scià di Persia che fu grande amico dell’Occidente, soprattutto degli Usa, ma molto meno del suo popolo che lo costrinse a precipitosa fuga nel febbraio del 1979. Il principe si è quindi mostrato tra i potenti del mondo per rappresentare in un importante consesso internazionale l’opposizione al regime di Teheran. Reza Pahlavi junior sembra infatti poter contare su un numero rilevante di sostenitori tra gli iraniani della diaspora, alcuni dei quali lo considerano loro rappresentante in qualità di legittimo erede del trono del Pavone. Altri, più prudentemente, lo vedrebbero meglio nel ruolo di leader ‘ad interim’ dopo l’auspicata fine della Repubblica Islamica. Lui, secondo quanto riporta il sito Amwaj.Media, sta ben attento dal definirsi almeno pubblicamente ‘principe della corona’ anche se non sembra disdegnare il titolo quando gli viene attribuito dai suoi supporter. Più che altro, il primogenito dello scià di Persia appare impegnato nell’accreditarsi, almeno tra gli esiliati, alla guida in un movimento che finora non ha visto emergere altri leader in grado di unificare l’opposizione al regime iraniano. E in questa prospettiva si dice pronto a ricoprire un “ruolo di transizione” nel caso di cambio di regime a Teheran.
Promesse di gas all’Europa
In una lunga intervista a ‘Politico’ e ‘Die Welt’ rilasciata a margine della conferenza che si è svolta in Germania, dopo aver attaccato il regime di Teheran, rimarcato la necessità di inserire i pasdaran nella lista nera del terrorismo internazionale e sollecitato il supporto alle proteste delle donne e degli studenti, Reza Pahlavi junior ha anche prospettato un Iran alleato dell’Occidente e in particolare dell’Europa alla quale sarebbe in grado di fornire, tra le altre cose, ingenti quantitativi di gas naturale in modo che possa affrancarsi definitivamente dalla Russia. Insomma, un futuro prospero, pacifico e persino democratico: il figlio dello Scià ha infatti annunciato, a breve, una sorta di carta costituzionale alla quale starebbe lavorando con un gruppo di altri oppositori, ma della quale peraltro non ha fornito troppi particolari se non un generico riferimento alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo.

Ma la questione ha iniziato a diventare inevitabilmente più problematica e ingarbugliata quando si è passati a ipotizzare la forma di governo dell’Iran post-ayatollah. Pahlavi è infatti apparso evasivo e comunque tutt’altro che determinato nell’auspicare la repubblica e nel voler rinunciare alla corona. In un’altra intervista all’agenzia Nova ha lasciato trasparire in modo più esplicito alcune istanze nostalgiche dichiarando che “non si può eliminare la possibilità” del ritorno della monarchia in Iran “né si può sostenere che la repubblica sia l’unica soluzione” per il futuro del suo Paese. E quando ha dovuto rispondere all’inevitabile domanda sul famigerato regime paterno, e quindi sulla sua credibilità come protagonista di un futuro processo democratico in Iran, il primogenito dello Scià ha argomentato che i figli “non possono essere considerati responsabili di ciò che hanno fatto i loro genitori” ricordando che aveva solo 17 anni quando è stato costretto dalla rivoluzione khomeinista a lasciare il suo Paese (più o meno la stessa età di tante ragazze cha rischiano la vita manifestando nelle strade di Teheran, verrebbe da puntualizzare…). Insomma ha rinnegato in parte il padre e non del tutto la monarchia.

Una pesante eredità
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