Di sicuro, la base su cui lavorare per operare scelte convincenti non è duttile né generosa di opzioni, ma sostenere che oggi centinaia di migliaia di elettori romani con i piedi in una cultura progressista, di sinistra, non hanno ancora idea su come andrà il loro voto amministrativo, a pochissimi mesi dalle urne, è arrendersi ad una ovvietà. Roma sarà chiamata ad eleggere il nuovo sindaco – oltre ovviamente all’intero consiglio comunale – e ai nastri di partenza c’è “poca roba”, svagata, scampoli di fashion e qualche “corridore” impaziente, il pubblico è ancora tutto fuori dallo stadio, rimugina, attende, fa le sue cose con un occhio alle novità, e quelli di sinistra soffrono. E’ diventato un problema, pare, ciò che mai si sarebbe temuto potesse diventarlo: la messa in soffitta di Virginia Raggi e della sua “epopea”.
Il fallimento della Raggi
Ma come? L’avvocata romana, formatasi presso lo studio di Previti, nel mar delle ansie giudiziarie della Roma nera o grigio-scura, salita in Campidoglio molto in virtù di una brutta pagina della storia della sinistra, del Pd – la defenestrazione di Marino sulla scrivania di un notaio –, non era il “nemico” ideale? Non era forse la sindaca, devota di Grillo alla commozione, il bersaglio da abbattere, politicamente? Lei, con la sua iniziale corte di furbacchioni di potere incalliti, alla quale aveva delegato praticamente tutto? Un momento: non stiamo facendo cronaca, ma un gioco innocente e senza malizia, stiamo provando a trasferire “su carta” lo stato d’animo crediamo più diffuso nella grande, e sfortunata, platea di sinistra, accennando ai pensieri meno dichiarati fluttuanti tra chi, oggi, non sa chi votare ma sa di sicuro che voterà comunque e sempre lì, a sinistra.
Pare che il trenta per cento della popolazione romana sarebbe dell’idea di riconfermare Raggi: ma si fiuta un bell’eccesso in questo gradimento non proprio verificabile attraversando la città. Roma, tra l’altro, è la città d’Europa che più ha peggiorato le sue “prestazioni” nel corso di questi ultimi quattro anni. E forse questo è un dato che nessuno se la sentirebbe di smentire, abitando nella Capitale. Ma perché si parla ancora di Raggi, allora? Perché, intanto, ci ha pensato lei a far sapere: infrangendo per l’ennesima volta il parco delle regole originali cinque stelle, il sistema M5S ha accettato il rilancio della sindaca: non si potevano fare più di due legislature nel corso di una carriera? E chissenefrega: il popolo cinque stelle ha detto che Raggi può affacciarsi al balcone della politica istituzionale per la terza volta. Quindi, i cinque stelle vogliono grosso modo lei. Solo che il tempo è passato, e il Pd con Leu, allora ostilissimi alla deriva grillina del paese, ora governano lo Stato, non male tra l’altro, proprio assieme agli ostracizzati di allora, condizione che parallelamente anche ai “figli di Grillo” deve costare un bel po’ in termini emotivi. Un incongruo realizzato: bisogna capire se aggiunge vitalità al quadro o se invece ne sottrae.
La “prudenza” del Pd
Quindi, ciò che pensa, e teme, verosimilmente ogni bravo cittadino di sinistra è quanto segue: facile che Raggi sia riconfermata, magari al ballottaggio, da un Pd governato da una prudenza fin troppo prudente. Il timore è alimentato dai balbettamenti proprio del Pd in materia: Zingaretti, è vero, ha detto che la riconferma non è nelle prospettive della sinistra, ma aveva anche assicurato che mai e poi mai si sarebbe fatto un governo che mettesse assieme Pd e Cinque Stelle. Cioè: Zingaretti è una magnifica persona, brava e paziente, un segretario davvero utile e positivo, ma è in grado di farci inghiottire rospi di varia misura, se, confortato anche dal Colle, pensa che serva al paese.
Ecco: il sincero democratico di sinistra oggi teme di dover ingoiare anche questo rospo. Nonostante le “primarie”, alle quali tiene molto e che dovrebbero tenersi, virus permettendo, in un tempo ragionevolmente distante dalle elezioni. Infatti, come non registrare che fin qui non è emerso alcun candidato sostenuto da una buona, convincente onda? Anzi, si ha la sensazione che questo deserto di candidature di squadra sia il frutto proprio di quella “nuvola” attendista destinata a benedire una conclusione in cui sarà Virginia Raggi, al ballottaggio, a raccogliere il largamente riluttante favore del voto di sinistra.
Calenda, Giletti & Co.
Che destino! Su questo complicato stato d’animo piove la sola mossa degna di rilievo maturata nell’area di sinistra: l’auto-candidatura di Carlo Calenda, l’uomo del fare. Calenda è bravissima persona, ottimo ministro delle ere Renzi e Gentiloni, grande esperienza, sincero democratico votatissimo alle europee, più di sinistra di molte sue parole, ma… è uscito dal Pd quando perfino Renzi ha proposto di fare un governo coi cinque stelle. Per cui, pur avendo in un primo tempo affermato di non voler correre per le primarie, ora sembra disposto ad affrontare la sfida ma resta del tutto indisposto a tollerare alleanze con il partito di Virginia Raggi. Cioè: Calenda prova a sparigliare, benché i sondaggi dicano che la sinistra senza i cinque stelle non andrebbe molto lontano. Lui invece ci crede e non sono pochi i romani convinti che la proposta sia ragionevole e tutta da giocare, nonostante sia avanzata da uno che ha preso le distanze dal Pd e dalle sue autorevoli “digestioni”. Intanto, Raggi fiuta la situazione e prova a fare la “carina” sui temi più di sinistra: ribadisce a più riprese il suo antifascismo – e questo è un bene incommensurabile, è vero – fino a farsi motore della chiusura della sede abusiva di Casa Pound, insomma ce la mette tutta per smarcarsi da un’area che nessun elettore di sinistra vorrebbe sfiorare, Pd o non Pd, e tuttavia….
Ecco che basta un soffio e la sua natura torna a galla, per esempio dando notizia dello sgombero di un campo Rom. “Questa mattina operazione di bonifica di un insediamento Rom abusivo nell’area di Sant’Agnese, terzo Municipio”: questo il testo dell’orgoglioso tweet di Virginia Raggi, in coda ad uno sgombero duro, senza alternative per gli “sfollati”, avvenuto l’undici novembre. La sindaca precisa che cacciare non si sa nemmeno quanti Rom mentre infuria il virus e tutti sono invitati a starsene chiusi in casa, non sarebbe altro che una “bonifica”. E dice quel che pensa.
Dalla nursery del Pd esce, in totale autonomia, il nome finalmente di una donna: Monica Cirinnà, senatrice, grande esperienza, ben nota per il suo impegno sul terreno delle unioni civili nonché prima firmataria della legge poi entrata in vigore, annuncia che correrà alle primarie, buona nuova. Ha l’appeal giusto per portarsi a casa i voti di una platea molto vasta e complessa? Ma almeno è una proposta seria. Di tutt’altro tenore rispetto alle fiammate che vengono contemporaneamente da destra dove si sprecano i nomi di Giletti – tanto caro a Salvini e Meloni, ma lui rifiuta – di Nicola Porro e altri ancora per aria. Berlusconi, nel frattempo,estrae dal cappello una sorpresa gualcita, l’eterno Bertolaso… Così che il bravo e stressato cittadino di sinistra possa consolarsi mentre continua a chiedersi chi cavolo dovrà alla fine votare, finito il tempo degli Argan, Petroselli, Vetere, dei Rutelli, dei Veltroni…
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