Radio Radicale,
i giornali
e i costi della politica

Estremizzando, ma mica tanto: se cesserà anche Radio Radicale, cadrà l’ultimo simbolo della prima repubblica. L’ultimo “organo di partito” a fruire di finanziamento pubblico. L’ultima emittente a trasmettere convegni, seminari e processi e a parlare del e al proprio mondo politico. L’ultimo superstite della sbornia populista che ha travolto la politica e l’informazione in questi anni.

I fatti, innanzitutto. La mancata proroga del finanziamento pubblico, decisa dalla maggioranza 5 Stelle, costringerà l’emittente della Lista Pannella a spegnere le sue trasmissioni nel giro di poche settimane. Il direttore Alessio Falconio ha già annunciato che in mancanza di fatti nuovi non saranno pagati gli stipendi dei redattori e dei tecnici a partire dal mese di giugno. Una situazione non nuova, purtroppo. Già nei mesi scorsi il governo Conte aveva tagliato drasticamente i fondi pubblici all’editoria cooperativa, colpendo testate storiche come l’Avvenire e il Manifesto e decine di pubblicazioni minori, soprattutto cattoliche di base, che nella grande maggioranza dei casi hanno dovuto chiudere nel silenzio generale. Assieme a qualche protesta obbligata dei sindacati dei giornalisti, infatti, l’unico a far sentire la propria voce – naturalmente senza poter entrare nel merito delle scelte di Palazzo Chigi – è stato il presidente Mattarella, con una serie di appelli  tutt’altro che rituali a favore del pluralismo dell’informazione e della tutela delle testate più deboli.

La “resistenza” attorno a Radio Radicale invece è stata assai più rumorosa, tra appelli politici bipartisan (persino con la partecipazione della Lega!), interventi di scrittori e intellettuali, campagne giornalistiche e scioperi della fame. Una mobilitazione forse un po’ troppo elitaria e di palazzo, ma che può essere comunque un’occasione per la politica e soprattutto per la sinistra, per un ripensamento più generale. Non è affatto un mistero infatti che nel corso di questi anni, nell’illusione forse di non esserne travolti, non sia stato posto alcun vero argine alla furia anti-politica di grillini e populisti. Prima che si abbattesse sull’editoria, la scure dei tagli ha colpito violentemente i partiti, con il taglio generalizzato del finanziamento pubblico: e a decretarlo (la solita vocazione autolesionista) sono stati proprio i governi del centrosinistra.

I danni sono stati pesantissimi. Sul lato umano, con migliaia di ex dipendenti dei partiti finiti in cassa integrazione e poi rimasti senza lavoro. E sul lato politico, anzi del funzionamento della democrazia: i partiti sostituiti da comitati elettorali per questo o quel leader, costretti a sopravvivere con le donazioni di qualche agiato sponsor, non sono evidentemente in grado di esercitare quella funzione fondamentale assegnata loro dalla Costituzione. Per non parlare dei giornali di partito: con la chiusura de l’Unità (senza tante mobilitazioni democratiche e scioperi della fame), non c’è ne più uno in vita. Con l’eccezione di Radio Radicale, appunto, organo della lista Pannella.

Sì salviamola, ma senza ipocrisie.  E ripensiamo anche a tutto il resto.