A Milano la marcia (confusa) dei renitenti no green pass
Alcune migliaia di persone (diecimila si è letto nei siti online) sono sfilate dal pomeriggio a sera per le vie di Milano. Hanno tentato di raggiungere la prefettura, la polizia li ha dissuasi. Merito, probabilmente, di un paziente funzionario, che ha convinto i capintesta a cambiare strada. Lo si è sentito consigliare: “Andate a casa”. Il corteo ha deciso il dietrofront e ha scelto un altro bersaglio: la sede della Camera del lavoro, al grido: Landini babbeo. Fronteggiato dalla polizia ha cambiato di nuovo strada. Molti si sono dispersi in rivoli vari, recitando una sorta di tattica guerrigliera per disorientare il nemico. I più si sono ritrovati in piazza San Babila, poi in corso Venezia, quindi in corso Buenos Aires, direzione piazzale Loreto. Lo striscione steso davanti a tutti recitava: “Lavoratori contro green pass e obbligo vaccinale”. Terza riga, in grande: “Ora e sempre resistenza”. La confusione regna insieme con la protervia: non si possono rubare parole che appartengono ad una storia ben diversa.
Issato a Porta Venezia un cartello recitava: “Figliulo analfabeta”. Il nome di un generale degli alpini lo scrivano almeno in modo corretto. Un signore di mezza età mostrava alle telecamere e ai poliziotti schierati un altro cartello: siamo i vostri padri, fratelli, figli… e non so che altro.
Si sono levati gli slogan di altri cortei (tredici solo a Milano): no green pass, Draghi vaffanculo, libertà. Una novità grazie ai portuali: Trieste chiama, Milano risponde. Poi una minaccia: se non cambierà, bloccheremo la città. Ieri sera hanno bloccato un furgone dell’Esselunga, uno di quelli che coprono il servizio a domicilio. Il sabato sera si può tutto. Anche invadere le vie del centro. Poco lontano basta la movida a far di peggio.
Ci saranno stati i fascisti a guidare la manovra. Ma rassicuravano in stampatello: qui nessun fascista, solo persone che protestano per la libertà.
La marcia dei renitenti è stata rumorosa quanto tranquilla, salvo tafferugli qui e là, spintoni e provocazioni, con la conseguenza del fermo di cinque individui. Altri dieci sono stati identificati. Niente rispetto a quanto s’era visto a Roma. Avanti e indietro in file sparse, mascherine e no, incazzati e tranquilli, tra chiacchiere e fischietti, tanti ragazzi, molte ragazze, qualcuno che chiamava, qualcuno che indirizzava, qualcuno che semplicemente guardava incuriosito.
Viene da citare la battuta di un film degli anni trenta, Grand hotel, con Greta Garbo, John Barrymore, Joan Crawford: gente che va, gente che viene e tutti senza meta. Perché di fronte a questa passeggiata per la libertà, non si capisce proprio che cosa muova i manifestanti, se non una rivendicazione di libertà per se stessi contro la libertà degli altri di vivere senza tenere il contagio dietro l’angolo, ribellismo, malcontento, protagonismo, ignoranza, semplice e banale stupidità, senza un obiettivo plausibile, se non il ritorno della pandemia e magari del lockdown, contro le regole di una comunità, contro il vaccino inseguito e provato da milioni in tutto il mondo (e come se la familiare aspirina non avesse fatto più danni di astrazeneca o di pfizer). Ancora ieri sera abbiamo sentito una manifestante, edotta da chissà quale social, intervistata da una radio, spiegare con fermezza che il covid non è altro che uno dei tanti complotti dei potenti, non si sa quali, per assoggettarci e annientarci. Neppure Crozza avrebbe saputo dir meglio.
Speriamo che Draghi tenga duro.
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