25 aprile, da Togliatti a Pertini le parole della libertà
Il 25 aprile del 1945 le insurrezioni partigiane pongono fine, alcuni giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate, all’occupazione nazifascista di Milano e Torino, liberate dopo Bologna e prima di Genova e Venezia. Entro il 1º maggio, tutta l’Italia settentrionale sarà libera: è la fine della dittatura mussoliniana, della Seconda guerra mondiale, della guerra civile.
Dirà esattamente otto mesi dopo Palmiro Togliatti al V Congresso nazionale del Pci (29 dicembre 1945): “Compagni, se guardiamo al cammino che in questi anni abbiamo percorso possiamo concludere che abbiamo adempiuto con onore il compito che ci eravamo prefissi e che era di servire la causa della classe operaia, del popolo e della nazione italiana; abbiamo adempiuto il compito di lottare per la distruzione del fascismo, per la restaurazione delle libertà democratiche, per il rinnovamento dell’Italia. […] In questa lotta – prosegue il segretario – non siamo stati soli, né pretendiamo nessun merito esclusivo. Abbiamo avuto accanto a noi operai e lavoratori socialisti, lavoratori e intellettuali del Partito d’azione, del partito democratico cristiano e di altre correnti democratiche e liberali a cui mandiamo il saluto fraterno dei combattenti. Nella lotta per la liberazione del nostro paese si è creata tra il nostro partito e queste altre tendenze democratiche una unità di propositi e di azione che è stata tra le cause principali della nostra vittoria. Questa unità non si deve oggi spezzare, anzi deve durare e consolidarsi, deve diventare una delle fondamenta della nuova Italia che insieme vogliamo costruire”.
“L’insurrezione vittoriosa di tutto il popolo dell’Italia del Nord, il 25 aprile 1945 – ribadirà Giuseppe Di Vittorio in occasione del primo anniversario della Liberazione – realizzò la premessa essenziale della rinascita e del rinnovamento democratico e progressivo dell’Italia, come della sua piena indipendenza nazionale. E’ per noi motivo di grande soddisfazione ricordare che a questo movimento di riscossa nazionale, il contributo più forte e decisivo fu portato dai lavoratori italiani. Furono gli operai, i contadini, gli impiegati ed i tecnici che costituirono la massa ed il cervello delle gloriose formazioni partigiane e di tutti i focolai di resistenza attiva all’invasore tedesco. Chi può dire se la clamorosa vittoria del 25 aprile sarebbe stata possibile, senza gli scioperi generali grandiosi che, dal marzo 1943, si susseguirono, a breve distanza, sino al 1945? Quegli scioperi, che contribuirono fortemente a paralizzare l’efficienza bellica del nemico ed a sviluppare la resistenza armata, costituiscono un esempio unico e glorioso di lotta decisa dalla classe operaia sotto il terrore fascista, sotto l’occupazione nazista ed in piena guerra. E’ un esempio che additava il proletariato italiano all’ammirazione del mondo civile! I lavoratori italiani, manuali ed intellettuali, non dimenticano. Essi hanno piena coscienza di essere stati il fattore determinante della liberazione dell’Italia, per opera degli italiani; della salvezza. Dell’onore dell’Italia e dell’attrezzatura industriale del Nord. Essi sono consapevoli dell’obbligo che si sono assunti di essere un pilastro basilare della nuova Italia democratica. Solidamente uniti nella grande Confederazione generale italiana del lavoro, i lavoratori italiani saranno all’altezza della loro funzione di forza coesiva dell’Italia rinnovata; della forza che assicurerà stabilità e ordinato progresso al nuovo regime democratico e che assicurerà al popolo italiano la libertà, il benessere e una più alta dignità civile ed umana”.
“A vent’anni dall’insurrezione del 25 aprile – tornerà a scrivere Enrico Berlinguer su «l’Unità» del 25 aprile 1965 – gli ideali della lotta antifascista e della guerra di liberazione non solo restano vivi e profondamente radicati nella coscienza nazionale, ma si presentano ancora come un punto essenziale di riferimento e di ispirazione per tutte le forze che intendono continuare nelle odierne condizioni la lotta per il rinnovamento della nostra società, e per tanta parte di quelle stesse generazioni nuove che pure della Resistenza non hanno vissuto direttamente l’esperienza”.
Proprio a quelle generazioni si rivolge Luciano Lama in dei momenti più drammatici per la vita del nostro paese, il 25 aprile 1978, durante i terribili giorni del rapimento Moro: “Perché abbiamo combattuto contro i fascisti e i tedeschi? Perché abbiamo rischiato la vita, perduto, nelle montagne e nei crocevia delle nostre campagne, nelle piazze delle nostre città migliaia dei nostri compagni e fratelli, i migliori? Perché siamo insorti, con le armi, quando il nemico era più forte di noi? – chiede ad un immaginario interlocutore il segretario generale della Cgil – Noi abbiamo lottato allora per la giustizia e per la democrazia, per cambiare l’Italia, per renderla libera. […] Dobbiamo sconfiggere nella coscienza dei lavoratori e del popolo ogni tentazione al disimpegno da qualunque parte essa venga. […] Oggi, in un momento drammatico della nostra storia, guardiamo con grande preoccupazione al presente e ricordiamo con giusta fierezza, anche se senza trionfalismo, la lotta di trent’anni fa. […] I giovani devono crescere con questi valori, e sapere che la nostra generazione, pur con tutti i suoi limiti ed errori, ha creduto in qualche cosa e continua a crederci ed è capace di sacrificarsi e continua a sacrificarsi per questi valori. La nostra gioventù, così incerta e senza prospettive anche per nostre manchevolezze, deve ricevere da noi in questo momento una lezione, deve trovare in noi un esempio che come nel ‘43-’44 non è fatto di parole, ma di scelte dolorose, di sacrificio anche grande perché c’è qualcosa che vale di più di ciascuno di noi, conquiste faticate nella storia degli uomini, che ci trascendono e si
chiamano democrazia, libertà, uguaglianza”.
Ancora rivolgendosi ai giovani, dirà sette mesi più tardi il presidente partigiano Sandro Pertini nel novembre 1978 commemorando il 35° anniversario dell’eccidio di Boves: “Io credo in voi giovani. Se non credessi in voi dovrei disperare dell’avvenire della Patria, perché non siamo più noi che rappresentiamo l’avvenire della Patria, siete voi giovani che con la vostra libertà, con il vostro entusiasmo lo rappresentate. Non badate ai miei capelli bianchi, ascoltate il mio animo che è giovane come il vostro. Voi non avete bisogno di prediche, voi avete bisogno di esempi, esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. La classe politica non deve fare prediche ai giovani, deve dare questi esempi se vogliamo che i giovani credano in noi”.
Quello stesso Sandro Pertini che il giorno dei funerali di Guido Rossa dirà: «Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate Rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai», afferma nel medesimo discorso a proposito dell’uccisione di Aldo Moro per mano delle Br: “E poi si presenta alla mia mente la figura a me più cara. Era un mio amico, era da me tanto stimato per il suo ingegno, per la sua cultura, per la sua coscienza di uomo onesto, Aldo Moro. Questi brigatisti lo hanno crudelmente ucciso fisicamente. Signori, stiamo attenti a non uccidere moralmente Moro, lasciamolo, lasciatelo in pace. Smettiamola, signori, con questo voler indagare quasi con la lente del detective le lettere e i memoriali che giungono, lasciamo che riposi in pace questo nostro amico che ha pagato con la vita. Che cosa aveva fatto per meritare la morte? Ma guardate che se voi continuate in questa indagine spietata voi ucciderete moralmente Moro dopo che gli altri lo hanno ucciso fisicamente. Brigatisti rossi! No, noi li abbiamo visti combattere, i rossi, nella guerra partigiana con molto coraggio e con molto valore per i nobili ideali. No, costoro sono dei briganti e dei criminali. E di fronte a dei criminali, costi quel che costi, non bisogna cedere. Bisogna difendere questa Repubblica! Qualcuno ha affermato: né con la Repubblica, con lo Stato, né con i terroristi. Antifascista del primo momento, non dell’8 settembre, io ricordo che nel primo dopoguerra vi erano delle persone ben pensanti che dicevano: né con il fascismo né con gli antifascismi, e poi finirono per adeguarsi al fascismo, anche senza prendere la tessera fascista, finirono per adeguarsi supinamente al fascismo. No, questa forma di neutralità in questo momento, non esito a dirlo, è una forma di viltà. Bisogna difendere questa Repubblica perché patrioti e partigiani che mi ascoltate, questa Repubblica non ci è stata donata su un piatto d’argento, l’avete conquistata voi con la vostra lotta e con il vostro sacrificio, l’hanno conquistata quelli della Bisalta, l’hanno conquistata i martiri di Boves, l’hanno conquistata tutti coloro che hanno partecipato al secondo Risorgimento! E’ una vostra conquista e dobbiamo difenderla. E’ vero, avrà dei difetti, delle imperfezioni, ed eccoci qui pronti a correggere questi difetti e queste imperfezioni, vi è un Parlamento, un libero Parlamento per farlo, e noi dobbiamo adoperarci perche questa Repubblica diventi umana e forte. Umana con i deboli, ma forte con i colpevoli e con i terroristi senza pietà. E non dimenticate – ripeto quello che è stato già detto da altri – che abbiamo una delle più perfette Carte Costituzionali che esistono nel mondo. Ce lo dicono i giuristi degli altri Paesi. Ebbene dietro ogni articolo della Carta costituzionale stanno centinaia e centinaia di partigiani che sono caduti per la libertà del popolo italiano”.
Sempre con il pensiero rivolto alle nuove generazioni conclude il Presidente: “Finché ci animerà un alito di vita noi anziani staremo al vostro fianco per abbattere gli ostacoli che sono sul vostro cammino, onde voi possiate percorrerlo con passo sicuro e spedito. Staremo al vostro fianco per batterci con voi. Ed a voi oggi noi consegniamo la bandiera della Resistenza. Consegniamo a voi il patrimonio politico-morale della Resistenza, perché lo difendiate, perché possiate trarre da questo patrimonio le norme per la vostra vita e i principi per la vostra lotta politica, purché sia una lotta democratica, combattuta sul terreno della democrazia. Ecco il mio saluto, giovani che mi ascoltate: avanti voi oggi perché l’avvenire è vostro. E con voi, ora e sempre Resistenza!”.
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