1969-2020: rivedere Alberto Sordi
per capire meglio noi italiani

Qualche giorno fa siamo stati tutti colpiti, chi positivamente chi negativamente, dalla foto di Papa Francesco a spasso per Via del Corso, a Roma. Ovviamente il Papa non era “a spasso”. Si stava recando a pregare per la salute dei fedeli e la fine dell’emergenza coronavirus. Ognuno, naturalmente, può valutare il gesto secondo i propri parametri. Ma a chi scrive, forse troppo cinefilo, forse “plagiato” negli anni dal cinema di Luigi Magni (che per un milanese come il sottoscritto è sempre stato un vademecum fra le storie e le pietre di Roma) è venuto in mente un brano del suo film Nell’anno del Signore (1969). Ricorderete tutti che in quel film si rievoca la condanna a morte dei carbonari Targhini e Montanari, ghigliottinati in Piazza del Popolo, dove ancora oggi una targa li ricorda davanti alla chiesa che ospita i due Caravaggio. Lungo tutto il film i due sono prigionieri a Castel Sant’Angelo dove, a un certo punto, ricevono la visita di un frate. La scena è storicamente verosimile, perché nello scrupolosissimo stato del Vaticano, nell’Ottocento, si cercava effettivamente di far pentire i condannati a morte dei loro peccati, onde mandarli al patibolo in grazia di Dio. Ma nel film di Magni la presenza del frate acquista toni grotteschi e fragorosamente comici perché lo interpreta un debordante Alberto Sordi, per una volta impegnato in un “cameo” in un film nel quale il protagonista è, indiscutibilmente, Nino Manfredi.

Le invettive di Sordi in quel ruolo sono memorabili. Ai due carbonari ingiunge ripetutamente “Pentite!”, per poi aggiungere, più accomodante: “E annamo? Te voi penti’? Fallo per me”. Quando i due “secolari” tentano di contrapporre alle sue ragioni divine quelle, più transeunti, della storia umana parte in una memorabile tirata: “Che c’è rimasto degli Egizi? Du’ mummie rinsecchite! E degli etruschi? Du’ cocci!”. Quando lo prendono in giro, li minaccia: “A te te darei ‘n cazzotto in testa!”. È quindi un frate molto sui generis, che però prende sul serio il proprio compito, al punto da tentare di impedire la decapitazione fin sul patibolo, perché Targhini e Montanari non si sono pentiti di nulla. Ma forse la scena più memorabile è quella in cui il frate tiene a bada la folla che ha invaso Castel Sant’Angelo. È uno dei momenti più buffi e al tempo stesso più feroci del film: i carbonari pensano che il popolo si sia sollevato per loro, per liberarli; invece i bravi popolani sono in subbuglio perché l’esecuzione ritarda, e uno di loro – un figurante con una notevole faccia da delinquente, ovviamente doppiato – addirittura reclama “Io vengo da Frascati, sto sulle spese”. Insomma, l’esecuzione di due rivoltosi è uno spettacolo, e come al cinema quando si rompe la pellicola o lo spettacolo inizia in ritardo, la gente rumoreggia. E il frate si rivolge loro con parole durissime, che vale la pena di riportare testualmente: “Ohhhh! Popolo! Ma che te sei messo in testa. Voi comanna’ te? Ma che voi? E chi sei? Sei Papa? Sei cardinale? O sei barone? Perché se nun sei manco barone, chi sei? Sei tutti l’artri! E tutti l’artri chi so’? Rispondi. Rispondi a me invece de assalta’ i castelli. So’ l’avanzi de li Papi, de li cardinali, de li baroni! E gli avanzi che so’? So’ monnezza! Popolo, sei ‘na monnezza! E voi mette bocca? Ma se non c’è nessuno che te dice la mattina quando t’arzi che devi fa’, dove sbatti la testa, che ne sai? Sei annato a scola? Sai distingue’ il pro e il contro? Tu non sai manco qual è la fortuna tua, perché sei ‘na monnezza. Ma resti pulito, perché non c’hai le responsabilità. Vattene a casa, popolo, va’: vattene a casa”.

Ora, diteci voi se queste parole non sembrano scritte oggi! A cominciare dall’invito finale: “vattene a casa”. Invece Magni le ha scritte nel ’68, un altro anno in cui accadevano cose cruciali, ma nel quale era molto difficile convincere la gente a “starsene a casa”. Magni vedeva già un’Italia nella quale non valeva la pena di essere populisti, perché senza una preparazione politica vera il “popolo” assalta magari i castelli, ma senza “distinguere il pro e il contro”, senza avere un obiettivo sensato. In quanto a oggi, non riusciamo a immaginare Papa Francesco che arringa i fedeli gridando loro “Popolo! Sei monnezza”; però siamo messi male proprio come i romani del 1825: se nessuno ci dice “che dovemo fa’” quando ci alziamo la mattina, dove sbattiamo la testa, che ne sappiamo?

Rivediamoci, se possiamo, Nell’anno del Signore. Impareremo qualcosa su noi italiani (come sempre, quando c’è di mezzo Alberto Sordi). Prima di chiudere vorremmo citare un bellissimo studio di Fabrizio Natalini, studioso romano che insegna a Tor Vergata, un saggio intitolato Nell’anno del Signore. Dalla sceneggiatura al film apparso su «L’avventura» (fascicolo 2, luglio-dicembre 2019, Il Mulino). Natalini ha potuto mettere a confronto le varie stesure del copione, scoprendo che in una prima versione il personaggio di Pasquino/Cornacchia – il protagonista, Manfredi appunto – era marginale, mentre nella seconda prendeva gradatamente spazio; e che nelle prime stesure il linguaggio era molto più arcaico, con vocaboli ed espressioni gergali quasi tutte provenienti dai sonetti del Belli. Poi Magni rende il tutto un po’ più “moderno”, e comprensibile. Rimane del Belli, nel film, una traccia: nella scena in cui Cornacchia annuncia ai carbonari che il sor Filippo Spada li ha traditi, Manfredi recita: «Ha fatto er corrier de corte, ‘a staffetta, er soffione, er pifero, er trombetta, la mimosa, l’amico, er paesano. Insomma ha aperto bocca e gli ha dato fiato». Targhini, modenese, lo guarda perplesso e chiede: «Che ha detto?». E Cornacchia traduce: «Ha fatto la spia». Tutti quei termini per definire gli spioni vengono dal sonetto del Belli La spia, del 1832. Lo citiamo da Natalini: «Che arte fate mò, vvoi, sor Ghitano? / Fate er curier de corte, o la staffetta? / Fate er zoffione, er pifero, er trommetta, / l’amico, la minosa, o er paesano?». Spinto fuori dalla porta da esigenze commerciali, Belli rispunta dalla finestra.

Martedì 24 marzo andrà in onda in prima serata su Raiuno il film Permette? Alberto Sordi, che rievoca gli inizi della carriera del grande attore. Lo interpreta, con straordinaria mimesi, Edoardo Pesce. È abbastanza toccante leggere che la regia di questo film televisivo (una produzione Rai Fiction uscita anche al cinema per pochi giorni, distribuita da Altre Storie) è di Luca Manfredi, figlio di Nino. I due vecchi amici-rivali, per vie traverse, si sono ritrovati. La loro più grande prova in coppia rimane lo straordinario Riusciranno i nostri eroi di Ettore Scola, 1968. Ne riparliamo alla prossima puntata.