Tra passerelle di Stato e brindisi il dramma dei tarantini e della fabbrica
L’addio di ArcelorMittal
E ne hanno motivi per esserlo. La società franco indiana, lo hanno capito oramai tutti, non vede l’ora di fare le valige e togliere il disturbo cercando di farlo nella maniera più indolore possibile sborsando il minimo della penale prevista per il recesso del contratto. E il governo italiano, proprietario della fabbrica? Dalla blindatissima Villa Pamphili a Roma, anche questa distante anni luce dalla vita reale di Taranto e del Paese, il presidente del consiglio Giuseppe Conte manda messaggi attraverso note stampa che dovrebbero rassicurare tutti.
Solo frasi di circostanza
Più o meno come le frasi di circostanza della coppia Emiliano-Melucci. «Abbiamo le idee molto chiare e non consentiremo che un progetto strategico per il Paese possa essere snaturato e reso non idoneo. Questo vale anche per gli esuberi che non riteniamo accettabili». Idee chiare sull’ex Ilva. E quindi? Ci penserà lo Stato, attraverso Invitalia a risolvere tutto, si dice. Ed ecco che ritorna l’incubo della vecchia Italsider che lo Stato fu costretto a regalare ai Riva con i risultati che sappiamo.
Già, l’acciaieria più grande d’Europa e più indebitata del mondo (attualmente produce 100 milioni di euro al mese di perdite), nelle mani dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo, la stessa che qui a Taranto sta gestendo – male – la costruzione del nuovo polo ospedaliero della provincia ionica, l’ospedale San Cataldo, affare da 207 milioni di euro che dopo tre anni di «tutto è pronto» è ancora imbrigliato in un contenzioso arrivato sino ai giudici della Corte Europea che devono esprimersi sul conflitto tra norme comunitarie e italiane sulle certificazioni degli appalti.
Si parla solo dei morti Covid

E l’inquinamento? E i morti per tumore? Nemmeno questi argomenti, tranne che in poche eccezioni, trovano più spazio nel dibattito politico locale e regionale. L’informazione di Stato, quella regionale e della Asl in questo caso, non parlano ormai d’altro che dei morti per Covid lasciando in coda interminabili liste d’attesa per visite ed esami specialistici, anche per patologie oncologiche, sospese dal lockdown (se ne contano sessantamila in attesa).
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